Ci parlano di comprensione, di
relazionare, di perdonare, ma poi all'atto pratico i media ci sciorinano
tutt'altro, a parte le bufale che sono all'ordine del giorno. Ma se ascoltiamo
persone serie ed intelligenti di ogni Paese e cultura, ed associazioni serie
che non sono quelle che vanno nei confini libici ad imbarcare gommoni
stracarichi di umani che in un'alta percentuale di casi affondano e se ne
salvano su qualche centinaio solo una trentina, non possiamo fare a meno di
credere a quei disperati nei cui occhi sono penetrate scene di follia umana
indescrivibile.
Coloro che comandano spesso e
volentieri fanno il voltafaccia rituale, sorridenti o cerimoniosi ai vari
funerali di gente assassinata tanto per mostrarsi in pubblico e promettendo
leggi che finiranno nel dimenticatoio, a meno che non ci siano interessi delle
solite aziende che, verifiche scientifiche alla mano di esperti prezzolati, osannano
i loro prodotti come i balconi delle case dei terremotati nel centro Italia,
fatti con legname che hanno ceduto nei mesi successivi. Ma i giornali tacciono,
le case sono state consegnate in pompa magna per calmare le acque di chi dorme
ancora dove può o in alberghi, ed aspetta e spera e ricorda il lontano
terremoto di Messina di qualche secolo fa...
Ma i terremoti, mentre possono anche avere uno zampino umano, non sono meno peggiori di regole, mode, insegnamenti che escono dall'ordine mondiale che esiste ed ha molte diramazioni che insegnano come disumanizzare l'uomo, appiattirlo, dequalificarlo sessualmente e nelle abitudini sempre meno personali, ma qualunquiste in modo che tutti si eguaglino.
Inoltre la riduzione del numero di
umani che popola il pianeta dagli attuali 7 miliardi a una cifra sempre più
bassa è uno scopo da raggiungere e quelli rimasti saranno i più danarosi, che
per il loro denaro conterebbero di più degli affamati o medioborghesi, ormai
sempre più dequalificati.
Ringrazio i giovani che hanno il
coraggio di smentire quanto dico a costo di sacrifici e che occupano un gran
posto tra i volontari veri, non quelli di ONG che vanno in acque libiche
in accordo con i trafficanti di umani, come da denuncia giorni fa da parte
della Marina Libica: e non si tratta di un hoak, perché anche un procuratore
italiano si è espresso in questo senso. L'articolo dichiarante che la Marina Libica
ha requisito quei barconi e li ha riportati indietro in Libia è sparito subito
dai media: chissà perché? Da parte dei politici nessun commento, dopo le
proteste ingigantite contro il Procuratore Carmelo Zuccaro di Catania, che
aveva esternato una denuncia a carico di alcune ONG in accordo con i trafficanti
di uomini (in Italia guai a denunciare i fiori appassiti e marci all’occhiello,
pena denunce da parte di incompetenti che riempiono i posti dirigenziali). Poi
la Libia ha sequestrato gommoni che si dirigevano verso le navi sospette di
traffico (notizia fatta sparire alla svelta) e il Procuratore cui si dovrebbe
dare la medaglia d’oro, non da parte dell’Italia, ma del mondo, per la difesa
vera dei migranti, sarà invece trasferito altrove e non certo in sedi più alte
e chissà quante altre cose (chiamiamole cose) deve aver subito per aver osato
opporsi a questo subdolo traffico.
Ma non ci sono state persone
consenzienti a questo traffico sospetto, nessuna, nessuna (non sapremo mai la
verità,sentiamo invece e vediamo le sconcertanti ma comuni falle dei nostri
ministeri, “come le traccie” per il
compito di italiano, che di italiano aveva al massimo un due - vedasi Ansa del
19/06/2017 - ore 16:59. Il Ministero della Pubblica Istruzione si è affrettato
a farlo cancellare, ma non è arrivato a tempo perché “fare i coperchi” è più
difficile che fare le pentole”. Spero che gli italiani se ne ricordino alle
prossime elezioni e non facciano fesserie che come sempre ci ridicolizzano a
livello mondiale.
1) Schiaffi a bimbi, sospese 2 maestre asilo
- Riprese da videocamere Cc, bambini anche chiusi in aula buia
ANSA) - PETILIA POLICASTRO (CROTONE),
29 APR - Schiaffi, calci alle gambe, tirate di capelli e minacce di morte a
bambini di 3 anni, alcuni dei quali chiusi per brevi periodi anche in un'aula
buia: è quanto avrebbero fatto due maestre di un asilo statale alle quali i
carabinieri della Compagnia di Petilia Policastro hanno notificato la misura
della sospensione dall'insegnamento fino al termine dell'anno scolastico emessa
dal gip di Crotone su proposta della Procura. Le due avrebbero maltrattato
ripetutamente i bimbi sottoponendoli a vessazioni e prevaricazioni continue. In
alcuni casi i piccoli sarebbero anche stati graffiati e strattonati ed i loro
oggetti, come zaini e scarpe, gettati fuori dall'aula. Le indagini hanno preso
il via dalle dichiarazioni di diversi genitori. Gli investigatori hanno installato
telecamere in vari punti della scuola trovando conferma delle vessazioni subite
dai piccoli che, per l'accusa, avrebbero subito una involuzione della
personalità con un diffuso senso di timore e di rifiuto della scuola.
(http://www.ansa.it/calabria/notizie/2017/04/29/schiaffi-a-bimbisospese-2-maestre-asilo_6cd63eb2-2894-4dc0-9e68-b282cf08d30a.html)
2 ) Siria, attacco Isis a un campo profughi: oltre 20
morti
Decine di civili
sarebbero stati uccisi in un attacco compiuto dall’Isis al confine con l’Iraq.
Lo riferiscono fonti di stampa irachene.
GUERRA IN SIRIA 2 MAGGIO 2017 13:18 di Susanna Picone
Sarebbero più di venti le persone rimaste uccise oggi in un attacco compiuto dall'Isis nel nord-est della Siria, al confine con l'Iraq. A darne notizia fonti di stampa irachene, secondo cui l'attacco è stato sferrato a Rajm Sleibi, contro un posto di blocco di forze curdo-siriane nei pressi del campo profughi di al Hol al confine tra i due Paesi. I media iracheni parlano di ventuno vittime, “tutti civili, tra i rifugiati del campo”. “I violenti scontri a fuoco e le esplosioni che sono avvenuti nei pressi della zona di Rajm al Salibi dove si trovano centinaia di rifugiati in attesa di entrare nella città di al Haska, hanno causato decine di martiri”, così inoltre l’Osservatorio siriano per i diritti umani. La Ong ha parlato di un bilancio di almeno 24 morti e non meno di 30 feriti e ha aggiunto che il bilancio delle vittime è destinato a crescere per la presenza di feriti gravi e di altre persone che mancano all’appello.
Sarebbero invece almeno 352 i civili rimasti uccisi in tre anni in Iraq e Siria a causa dei raid aerei anti-Isis condotti dalla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Lo ha reso noto il Pentagono in un rapporto citato dalla Cnn online. “Ci rammarichiamo della perdita non intenzionale di civili causata dagli sforzi della coalizione per sconfiggere l'Isis in Iraq e Siria, ed esprimiamo la nostra più profonda partecipazione alle famiglie e agli altri colpiti da questi raid”, è quanto si legge in una nota della “Combined Joint Task Force Operation”. La Cnn ha sottolineato che il bilancio di 352 civili uccisi segna un notevole incremento rispetto alle 229 vittime civili che erano state registrate fino alla fine del febbraio scorso.
Domani intanto inizia il vertice ad Astana per rafforzare la tregua in Siria. “Il 3 e il 4 maggio sono i giorni clou del vertice”, ha affermato a Interfax il ministro degli Esteri del Kazakistan, Mukhtar Tileuberdi dicendo che tutte le delegazioni di alto livello hanno confermato la loro presenza.
Susanna Picone
(Continua su: http://www.fanpage.it/siria-attacco-isis-a-un-campo-profughi-oltre-20-morti/
- http://www.fanpage.it)
3) Abu, parla il trafficante di organi umani: “Ho venduto occhi e reni di 30 rifugiati siriani”.
3) Abu, parla il trafficante di organi umani: “Ho venduto occhi e reni di 30 rifugiati siriani”.
Abu Jaafar è un nome di fantasia però il suo business è reale, e orribile: è un broker di organi umani. L’ha incontrato un giornalista della Bbc a Beirut, dove ha svelato i retroscena del mercato illegale di reni, occhi e altre parti del corpo venduti per fame dai profughi siriani e palestinesi in Libano.
GUERRA IN SIRIA 26 APRILE 2017 13:44 di Mirko Bellis http://www.fanpage.it/(tutti i diritti riservati all'autore ed alla testata)
in foto: Abu
Jaafar, il trafficante di organi umani intervistato dalla Bbc (Foto: Bbc)
Abu lavorava come buttafuori in una discoteca a Beirut quando incontrò un’organizzazione dedita al contrabbando di organi umani. “So che faccio qualcosa di illegale, ma sto aiutando le persone, è così che lo vedo", ha confessato ad un giornalista della Bbc che l’ha incontrato nella capitale libanese. Abu è un broker, un intermediario tra i contrabbandieri di organi umani e i tantissimi disperati scappati dalla guerra in Siria. Da quando è iniziata la guerra civile sono migliaia i profughi siriani e palestinesi che hanno trovato riparo in Libano. E con il loro arrivo, per Abu, sono cresciute anche le possibilità di guadagno. Con una grande dosi di cinismo sottolinea che molte di queste persone sarebbe morte se fossero rimaste in Siria; vendere un organo – continua – non è nulla rispetto agli orrori che hanno già vissuto nel loro Paese. “Sfrutto le persone – ammette – però anche loro ci guadagnano”.
Abu lavorava come buttafuori in una discoteca a Beirut quando incontrò un’organizzazione dedita al contrabbando di organi umani. “So che faccio qualcosa di illegale, ma sto aiutando le persone, è così che lo vedo", ha confessato ad un giornalista della Bbc che l’ha incontrato nella capitale libanese. Abu è un broker, un intermediario tra i contrabbandieri di organi umani e i tantissimi disperati scappati dalla guerra in Siria. Da quando è iniziata la guerra civile sono migliaia i profughi siriani e palestinesi che hanno trovato riparo in Libano. E con il loro arrivo, per Abu, sono cresciute anche le possibilità di guadagno. Con una grande dosi di cinismo sottolinea che molte di queste persone sarebbe morte se fossero rimaste in Siria; vendere un organo – continua – non è nulla rispetto agli orrori che hanno già vissuto nel loro Paese. “Sfrutto le persone – ammette – però anche loro ci guadagnano”.
Sul retro di una piccola caffetteria alla periferia sud di Beirut, dietro una porta arrugginita, c’è il suo “ufficio”. Da qui, Abu, ha organizzato negli ultimi tre anni la vendita degli organi di circa trenta rifugiati. L’intervista che ha concesso alla Bbc è un concentrato di orrore e spregiudicatezza. "Di solito l’organizzazione chiede reni, ma posso ancora trovare altri organi”, dice. “Una volta mi hanno chiesto un occhio e sono riuscito a trovare un cliente disposto a venderlo”. "Ho fatto una foto dell'occhio – racconta descrivendo crudelmente la sua attività – l’ho inviata con Whatsapp per avere conferma, poi ho consegnato il cliente".
I “clienti”, come li chiama Abu, non mancano. In Libano da quando è iniziata la guerra nel Paese vicino, sono oltre un milione i profughi siriani registrati dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Alla cifra ufficiale vanno aggiunti anche i migliaia di palestinesi arrivati dalla Siria dopo il 2015 Per loro non esiste nemmeno la possibilità di essere registrati come rifugiati. Il governo libanese, infatti, ha chiesto all'Onu di smettere di registrare nuovi arrivi e così i palestinesi sono diventati “invisibili” anche per le agenzie umanitarie. La maggior parte vive nella completa povertà. Le autorità libanesi infatti non concedono loro la residenza e nemmeno un permesso di lavoro. Costretti a vivere in campi sovraffollati, con pochi aiuti, diventano preda facile degli appetiti criminali di persone come Abu Jaafar. Il trafficante ammette che proprio la comunità palestinese è quella più vulnerabile: “Che altro possono fare, sono disperati e l’unico mezzo che hanno per sopravvivere è vendere i loro organi”. Una vita fatta di lavori occasionali e degradanti: lustrascarpe, venditori ambulanti agli angoli delle strade o agli incroci e, in alcuni casi, anche la prostituzione. La vendita di un organo appare quindi come un facile mezzo per guadagnare un po’ di soldi in fretta.
Il disperato, una volta selezionato da Abu, viene bendato e condotto nel giorno prefissato dall'organizzazione per l’espianto in un luogo segreto. A volte i medici operano in case affittate, trasformate per l’occasione in improvvisate cliniche, dove i donatori subiscono un esame del sangue prima dell'intervento. “Una volta che l'operazione è stata fatta li riporto dove li ho presi", racconta il trafficante. "Mi prendo cura di loro per quasi una settimana fino a quando non rimuovono i punti. Da quel momento – continua spietato – non mi importa più niente di cosa gli succede”.
In foto: Il giovane profugo siriano dopo l'operazione clandestina di espianto del rene (Foto: Bbc) [Per la foto si rimanda al link in calce, N.d.A.]
Uno dei suoi ultimi clienti è un ragazzo di 17 anni, costretto ad abbandonare la Siria dopo che suo padre e i suoi fratelli sono stati uccisi. Vive in Libano, da più di tre anni assieme alla madre e cinque sorelle. Senza lavoro e oppresso dai debiti, questo giovane profugo ha deciso di vendere il suo rene per 8000 dollari (7.340 €) alla rete di Abu Jaafar. Due giorni dopo l’operazione – scrive il giornalista della Bbc che l’ha incontrato – giace dolorante sopra un vecchio divano. Il suo volto è sudato e il sangue ancora visibile sulle bende che coprono l’espianto dell’organo.
Abu, nonostante sia consapevole che la sua attività sia illegale, si considera quasi un benefattore per quei poveri costretti a vendersi un organo per sopravvivere. “E’ così che la vedo, il cliente userà i soldi per una vita migliore, per sé stesso e per la sua famiglia. Potrà comprarsi un’auto e lavorare come tassista o addirittura viaggiare in un altro Paese”. Il mercato illegale degli organi è molto florido in tutto il Medio Oriente. La mancanza di donatori dovuta a resistenze religiose e culturali ha provocato un autentico boom degli espianti clandestini. Abu Jaafar sostiene che ci siano almeno altri sette intermediari come lui in tutto il Libano. "Il business sta crescendo – ammette – soprattutto con l’arrivo dei rifugiati”. Il contrabbando di organi umani, un altro degli effetti perversi della guerra civile in Siria.
Mirko Bellis
(Continua su: http://www.fanpage.it/abu-parla-il-trafficante-di-organi-umani-ho-venduto-occhi-e-reni-di-30-rifugiati-siriani/
- http://www.fanpage.it/).
4) Nuovo naufragio di Migranti nel Mediterraneo, Oim:
“113 vittime, solo sette sopravvissuti”
La nuova tragedia raccontata da uno dei sette sopravvissuti e riferita dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni. Nelle ultime 24 ore nel Canale di Sicilia ci sarebbero quindi circa 200 morti in mare. 8 MAGGIO 2017 12:17 di Antonio Palma (tutti i diritti riservati all'autore ed alla testata) http://www.fanpage.it/
Ennesima tragedia
della disperazione nelle scorse al largo della Libia dove un'imbarcazione
carica di migranti è naufragata trascinando in acqua tutti gli occupanti
che stavano cercando di raggiungere l'Italia. Lo ha reso noto l'Organizzazione
internazionale delle migrazioni (Oim) dopo aver ricevuto la segnalazione dai
propri contatti in Libia. Secondo il racconto dei pochi superstiti della
tragedia, all'appello mancano almeno 113 persone, probabilmente morte annegate
in acqua. Sempre secondo i contatti dell'Oim, l'imbarcazione, partita dal Paese
nordafricano, aveva fatto poche miglia quando è affondata al largo di Az
Zawiyah.
A nulla è servito
l'intervento della Guardia costiera libica, giunta sul posto dopo una chiamata
di emergenza. I soccorsi infatti sono riusciti a trarre in salvo appena sette
persone, sei uomini e una donna, che hanno raccontato che sul barcone al
momento della partenza vi erano circa 120 persone. "Sono notizie
drammatiche che ci hanno fornito i nostri riferimenti di Oim Libia, attendiamo ulteriori dettagli di questa
ennesima tragedia" ha precisato il portavoce dell'Oim in Italia, Flavio Di
Giacomo".
Le vittime delle
ultime 24 ore nel Canale di Sicilia sarebbero quindi circa 200. Domenica
infatti altri superstiti giunti in Italia hanno raccontato il loro naufragio in
cui hanno perso la vita circa 80 persone. Drammatico il loro racconto sulle
crudeltà degli scafisti. "Ci hanno seguito a bordo di un altro gommone, a
un certo punto, accostando, hanno staccato il motore del nostro gommone e ci
hanno lasciato alla deriva. Eravamo in 120 a bordo e poco dopo, mentre la gente
si agitava, si è rotto il fondo dell'imbarcazione e il gommone si è capovolto.
Sono annegati almeno in 80 e tra loro anche uno degli scafisti" hanno
raccontato agli inquirenti italiani che ora indagano sul disastro.
Questi episodi, secondo l'Unhcr, dimostrano come il salvataggio in mare "ora sia più cruciale che mai" e spingono l'Alto Commissario per i Rifugiati, Filippo Grandi, a esortare "ulteriori sforzi per salvare le persone lungo questa rotta pericolosa" e a difendere l'operato delle ong, finite al centro delle polemiche negli ultimi giorni per le presunte collusioni con i trafficanti.
Antonio Palma
(Continua su: http://www.fanpage.it/nuovo-naufragio-di-migranti-nel-mediterraneo-oim-113-vittime-solo-sette-sopravvissuti
- http://www.fanpage.it/):
5) L’ultimo disperato abbraccio di un padre ai suoi
gemellini morti nell’attacco chimico in Siria
La straziante
immagine di un padre siriano di 29 anni che ha visto l’intera famiglia di 19
persone completamente distrutta dai raid che hanno causato decine di morti a
Khan Sheikhoun.
GUERRA IN SIRIA - 6 APRILE 2017 - 12:20 di Antonio Palma
Strage in Siria, Medici Senza Frontiere: vittime esposte ai gas
Caricato da Cronaca Estera
Un padre quasi più senza lacrime mentre stringe al suo petto i corpi ormai senza vita dei due gemellini di appena 9 mesi abbracciandoli per l'ultima volta prima di seppellirli. È una delle strazianti immagini che arrivano dalla città siriana di Khan Sheikhoun scattata all'indomani del terribile attacco con armi chimiche che ha fatto oltre settanta morti tra i civili, tra cui molti bambini. Negli scatti si vede il 29enne Abdul-Hamid Alyousef accompagnato verso il luogo di sepoltura mentre culla i piccoli avvolti in teli bianchi per l'ultima volta.
GUERRA IN SIRIA - 6 APRILE 2017 - 12:20 di Antonio Palma
Strage in Siria, Medici Senza Frontiere: vittime esposte ai gas
Caricato da Cronaca Estera
Un padre quasi più senza lacrime mentre stringe al suo petto i corpi ormai senza vita dei due gemellini di appena 9 mesi abbracciandoli per l'ultima volta prima di seppellirli. È una delle strazianti immagini che arrivano dalla città siriana di Khan Sheikhoun scattata all'indomani del terribile attacco con armi chimiche che ha fatto oltre settanta morti tra i civili, tra cui molti bambini. Negli scatti si vede il 29enne Abdul-Hamid Alyousef accompagnato verso il luogo di sepoltura mentre culla i piccoli avvolti in teli bianchi per l'ultima volta.
"Ero accanto a loro e li ho portato fuori di casa con la madre quando sono iniziati i bombardamenti. Erano svegli e vigili ma 10 minuti più tardi abbiamo iniziato a sentire un forte odore e loro non sono più riusciti a respirare" ha raccontato l'uomo che non riesce a darsi pace. Nel terribile attacco nel nord della Siria il 29enne non ha perso solo i due figlioletti ma anche la moglie Dalal e altri sedici membri della sua famiglia. Al momento del bombardamento l'uomo, che gestiva un negozio nella città siriana, infatti era sceso con la moglie e i figli in uno scantinato per rifugiarsi dalle bombe insieme a fratelli e nipoti ma proprio lì hanno iniziato ad accusare i primi sintomi asfissianti dovuti ai gas usati nel raid. Dopo aver soccorso moglie e figli portandoli in ospedale, l'uomo era tornato sul posto ma ha trovato gli atri parenti già cadaveri così è ritornato al centro medico scoprendo però che anche moglie e figli erano deceduti. "Non ho potuto salvare nessuno, sono tutti morti" hanno urlati disperato il 29enne .
Il 13enne che ha perso tutta la famiglia di 19 persone
Una storia purtroppo comune a tante altre famiglie siriane sorprese dai gas nei rifugi e completamente annientate. Così è stato anche per la famiglia di Mazin Yusif, un ragazzino di soli 13 anni che dopo l'attacco si è risvegliato in un letto d'ospedale ricevendo la notizia che l'intera sua famiglia composta da 19 persone, tra nonni cugini e fratelli, era stata annientata. "Gli attacchi chimici non lasciano segni", ha sottolineato il dottor Mamoun Najem, un medico locale che ha accolto e curato numerose vittime dell'attacco chimico, concludendo: "È un killer silenzioso che si fa strada nel corpo in modo lento".
Antonio Palma
(Continua su: http://www.fanpage.it/l-ultimo-disperato-abbraccio-di-un-padre-ai-suoi-gemellini-morti-nell-attacco-chimico-in-siria/
- http://www.fanpage.it/).
6) Genova: maxi sequestro di Captagon, la “droga del combattente” era diretta in Libia
6) Genova: maxi sequestro di Captagon, la “droga del combattente” era diretta in Libia
Si tratta di uno
stupefacente usato in guerra, soprattutto in Medio Oriente, per togliere la
paura. Non è la prima volta che il porto di Genova si rivela crocevia per il
finanziamento dell’estremismo islamico.
CRONACA ITALIANA - 8 MAGGIO 2017 -10:58 di Biagio Chiariello
37 tonnellate di Captagon che avrebbero fruttato oltre sette milioni e mezzo di euro sono state sequestrate dalla Guardia di Finanza di Genova. Il carico è stato intercettato in un container in transito nel porto di Genova e diretto in Libia. L'indagine è stata coordinata dal sostituto procuratore distrettuale Federico Manotti. Il maxi sequestro è stato compiuto dai funzionari del servizio Antifrode dell’Agenzia delle Dogane in collaborazione con le Fiamme Gialle.
Le pastiglie erano partite dall'India, regolarmente dichiarate nelle bolle di accompagnamento come medicinali. Hanno raggiunto lo Sri Lanka, dopo poi sono state trasferite in altri container e ‘nascoste' in mezzo a coperte e shampoo. Il container, di passaggio dal porto di Genova, avrebbe dovuto raggiungere le città di Mosul e Tobruk per poi essere vendute a due dollari l'una a fronte di un costo iniziale di 77 centesimi. Il ricavo sarebbe finito nelle casse dei terroristi dell'Isis.
Che cos'è il Captagon
Il Captagon è un cloridrato di fenetillina, un composto di anfetamina e altre sostanze stimolanti. E’ anche nota come la ‘droga del combattente' e il fatto che fosse destinato al paese nordafricano non è una sorpresa: commercializzata anche sotto il nome di Biocapton o Fitton, questa droga viene spesso usata dai gruppi ribelli, anche i jihadisti, in Siria (primo produttore a livello mondiale), Iraq e, appunto, Libia. Il nome deriva proprio dal fatto che chi la assume perde ogni inibizione e risulta più resistente durante gli scontri. mangiare o dormire per giorni, ed è pervaso da un senso di onnipotenza che fa sentire invincibili. Siringhe con tracce di Captagon sono state trovate nella casa di Salah Abdeslam, uno degli attentatori di Parigi, e la stessa droga era nel sangue di uno dei terroristi di Sousse, Tunisia.
L'Isis si serve a Genova?
E non a caso il Secolo XIX, citando fonti vicine all’inchiesta, evidenzia come probabilmente dietro il traffico internazionale di Captagon si nascondono uomini vicini o appartenenti proprio allo Stato islamico; non è la prima volta infatti che il porto di Genova sia rivela crocevia per il finanziamento dell’estremismo islamico.
Lo scorso anno la Dea, l'agenzia federale antidroga, aveva avvertito l'ambasciata americana a Roma in merito al traffico dello stupefacente. Nella missiva si fa riferimento proprio ai "gruppi di eversione e di estremisti operanti in Libia, Siria e Iraq". In particolare, secondo gli inquirenti, "tale traffico è gestito direttamente dall'Isis al fine di finanziare le attività terroristiche che l'organizzazione pianifica e pone in essere in tutto il mondo".
"Quella di
oggi – ha sottolineato il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi – e' una
operazione che ha tagliato una quota importante di finanziamenti alle
organizzazioni terroristiche". Al di là del ricavo economico, ci
sarebbe anche una questione legata al controllo del territorio. "Come
avvenne in Cina con la guerra dell'oppio – ha spiegato il tenente colonnello
della Gdf Carmelo Cesarei – un uso massiccio di questa sostanza rischia di
destabilizzare interi paesi".
Biagio Chiariello
(Continua su: http://www.fanpage.it/genova-maxi-sequestro-di-captagon-la-droga-del-combattente-era-diretta-in-libia/ - http://www.fanpage.it/).
7) Scontro tra minibus e camion: almeno 20 bambini morti
tra le fiamme in Sudafrica
L’impatto tra i
due mezzi è stato così violento che subito dopo il bus carico di bimbi si è
ribaltato e incendiato.
AFRICA 21 APRILE
2017 17:47 di Antonio Palma
Drammatico incidente
stradale nel pomeriggio di venerdì in Sudafrica. Un minibus carico di bambini
si è improvvisamente scontrato con un camion a nord-est della capitale
Pretoria, nella provincia di Mpumalanga, causando diversi morti tra i bimbi.
Secondo le prime notizie diffuse dai servizi di emergenza sudafricani, il
bilancio parziale della tragedia è di almeno 20 bambini morti, mentre altri
sarebbero stati estratti vivi dalle lamiere ma in condizioni gravissime.
Secondo la
testimonianza che il portavoce del servizio di emergenza locale ER24 ha
rilasciato all'agenzia Reuters, al momento dello schianto a bordo del minibus
vi erano oltre 20 bambini. Secondo la stessa agenzia di stampa, l'impatto tra i
due mezzi è stato così violento che subito dopo l'autobus si è incendiato
bloccando tra le lamiere i piccoli che sono morti in maniera atroce tra le
fiamme.
Sul posto, sulla
strada regionale R21 Pretoria – Groblersdal, sono giunte diverse squadre
di vigili del fuoco e ambulanze del servizi di emergenza che ha diffuso
anche alcune terribili immagini dell'incidente dove si vede il mezzo ribaltato
su un fianco e annerito dalle fiamme appena spente. Ancora incerte le cause
dell'incidente che ora sono al vaglio della polizia locale
Antonio di Palma
(Continua su: http://www.fanpage.it/scontro-tra-minibus-bus-e-camion-almeno-20-bambini-morti-tra-le-fiamme-in-sudafrica/
- http://www.fanpage.it/).
Sempre bambini assassinati
dalla fabbrica della manipolazione attraverso
i suoi organi periferici che sono tanti e sono il braccio sinistro (in tutti i
sensi) degli ordini dei criminali che vogliono il dominio del mondo (VIP, e
mille sottostanti in tutti campi: politici, civili, religiosi, paranormali e i
loro esecutori di crimini).
L'esercito
degli innocenti aumenta ogni giorno per fatti meteorologici, per incidenti, per
genitori psicopatici, per insegnanti da mandare a pulire il sedere nelle case
per anziani e controllati a vista.
Sta scomparendo
poco alla volta il nostro futuro: forse non ce ne accorgiamo, ma è così, tra adulti futuri genitori che sono
assassinati dal potere del Disordine Mondiale e bimbi futuri uomini che
scompaiono giorno dopo giorno, il cui assassinio premeditato non si ferma,
grazie a guerre generate dalla sola sete di dominio e di soldi ormai diventate
le modalità diaboliche della distruzione umana. Non si ferma nulla nonostante
esempi fulgidi di bambini che salvano i loro genitori in pericolo e che
compiono veri atti di coraggio e che potrebbero, se in aumento, oltre a farci
vergognare (ad eccezione dei nostri politici che fanno finta di lottare
incollati alla loro sedia) essere il futuro che si fa largo tra il male, ovvero
fra le opere diaboliche sempre di supporto alla nostra futura condizione voluta
dall’ordine mondiale e che vuole renderci neuro schiavi della manipolazione
sempre più incalzante del nostro decondizionamento mentale e fisico.
Sfoderiamo
il nostro ruggito ed attenti a non belare troppo, perché di qua a un po’ il
popolo sarà guardato a vista da organi istituzionali sempre in aumento. Ma chi
provoca l’aumento delle forze di polizia sul territorio? Domandiamocelo bene,
senza la paura verso cui ci spingono in continuazione e che si chiama anche
sindrome di Stoccolma.
8) Lampedusa, l’uomo
che non pesca più - «Dovevo salvarli tutti, li rivedo affogare»
Due mesi fa Domenico Colapinto è stato tra i
primi a soccorrere i migranti del naufragio. Ora è in cura da uno psicologo -
28 novembre 2013
LAMPEDUSA - Sono passati due mesi da quando le
sue mani hanno tirato su diciotto naufraghi, «senza riuscire a salvarne altri
cento, altri duecento, uomini e donne, ragazzi come i miei figli che affogavano
davanti a me, dannato, impotente, pure io sfinito, senza forze, come loro, ma
io vivo, loro annegati».
È il tormento di un pescatore che da allora,
dalla drammatica alba del 3 ottobre, 366 migranti affogati, non riesce più a
tornare in mare, a mettere piede sul Molo Favarolo, a saltare sulla fiancata
della «Angela C», la motonave di famiglia con la poppa infine stipata quel
maledetto giorno di vivi e di morti.
È l’incubo che Domenico Colapinto, 50 anni,
moglie e due figli, si porta appresso da allora ogni notte, gli occhi sgranati
sull’orrore: «Rivedo le braccia unte di nafta che mi scivolano via, mentre quei
cristiani spariscono fra le onde guardandomi, chiedendo...».
Lo ripete al fratello Raffaele, il
proprietario della barca, quando riesce a trovarlo perché Domenico lo ammette:
«Appena chiama, sudo freddo. No, non ci riesco, esco di casa e sparisco». Come
ripete alla psicoterapeuta che una volta alla settimana arriva da Palermo, gli
occhi dubbiosi, esitante, quasi diffidente, seduto di fronte a lei,
nell’ambulatorio di Lampedusa, per raccontare di malavoglia una storia tirata
fuori con le tenaglie: «Dice che se ne parlo passa. Io parlo e lei scrive. Ma
io la testa ce l’ho sempre lì. Non ci deve pensare, dice. Come faccio se i
morti stanno davanti ai miei occhi?».
È l’inquietudine insinuatasi in questa casetta
di via Duse, all’angolo del corso principale, a due passi dalla Chiesa di
Lampedusa, una porticina di alluminio sul marciapiede, il salottino come
ingresso, un drappo a protezione del divano, la riproduzione di una fontana
alla parete, la moglie Maria Rosa preoccupata «perché da allora non è più lo
stesso». Racconta lei le notti: «Si alza, va in bagno, torna dolorante, prova a
dormire, ma lo vedo sveglio fino a giorno».
È stato iscritto nell’albo degli eroi di
Lampedusa, la citazione su qualche giornale, il nome echeggiato fra memorie
prefettizie ed encomi locali, ma due mesi dopo tanti dimenticano e l’orrore
resta dentro i pochi che si incontrano in via Roma. Fra bar, boutique e ritrovi
chiusi. Il corso dei turisti frustato dal vento. Qualche migrante in libera uscita
dal Centro accoglienza. Come Aregai Mehari, un trentenne di Khartum salvato
quella mattina da Colapinto e diventato prezioso testimone di giustizia perché
ha riconosciuto lo scafista, il somalo indicato ai magistrati di Agrigento che
lo hanno fatto arrestare.
Adesso il pomeriggio è come se Colapinto e
Aregai avessero sempre appuntamento davanti alla Chiesa. Con il sopravvissuto
che corre verso il pescatore in analisi: «Fatti abbracciare papà». Lo chiama
proprio così, Aregai, mischiando inglese e siciliano: «Io sono vivo per lui. Io
sono nato di nuovo il 3 ottobre. E lui è mio papà. Come per Kibret e
Semhar...».
La prima è una sua cugina partita con lui dal
Sudan, l’altra è un’eritrea incrociata in Libia, salpata sulla stessa barca
affondata il 3 ottobre davanti all’Isola dei Conigli. Tutte e due al cellulare
di Aregai nel pomeriggio ventoso di Lampedusa. La prima da Milano, l’altra da
Roma. Entrambe felici di sentire il loro salvatore. «Papà fatti forza», gli
dicono le ragazze dirette in Svezia dove hanno parenti e Colapinto si illumina
perché via cellulare arrivano le foto delle due donne salvate trasformando il
braccio destro in una leva, per questo ancora ferito e dolorante: «Mi ero
imbracato a poppa, il corpo in acqua per tirare sulla fiancata i migranti. Le
ultime due sono state proprio loro, Kibret e Semhar, il braccio destro come il
braccio di una gru. Lo sentivo quasi spezzarsi. Ma che si spezzi, pensavo, se
in cambio riesco a salvare queste figliole che il mare non si può portare
via... Erano ridotte male. Le fecero partire subito per l’ospedale di Palermo.
Adesso che le sento per telefono e vedo le foto mi commuovo. E ripenso a come
cominciò tutto».
Cominciò al primo chiarore quando Colapinto,
impegnato a incolonnare casse di triglie e calamari a poppa, intuì il peggio:
«Inforcai il cannocchiale, a prua, e vidi una marea di persone che si
disperavano, già soccorsi da una barca di turisti, altri che galleggiavano fra
le onde. Macchina a tutta forza, grido. Chiamo “Lampedusa Circomare” e mi
dicono che le motovedette arrivano. Ma la lente del cannocchiale era un zoom
sulla strage: tre vivi si reggevano su due morti, altri gridavano aggrappati a
pezzi di legno, senza la barca che non c’era, calata a fondo con la stiva piena
di donne e bambini... Poi, poi ci siamo messi a raccogliere i vivi e i morti.
Con l’“Angela C” fai fatica, la fiancata è alta. Io passavo da poppa a prua,
buttavo salvagente, ciambelle, funi, cime, ma tanti non avevano forza, non si
muovevano, erano lì da tre ore, gelo e buio, a ingoiare acqua salata,
assiderati. Senti gridare, ne salvi uno e l’altro non lo vedi più. Sei tu che
decidi in quel momento di acchiapparne uno e di lasciare morire un altro. Come
essere Dio, per un attimo. C’è una donna, gridava mio nipote Francesco da una fiancata.
Vai. Ma come vado se c’è uno qui con le braccia tese. Posso lasciarlo affogare?
E quella donna muore. Si, ho salvato Kibret e Semhar, ma oltre ai 18 vivi siamo
tornati al porto con due donne morte e io ho chiuso a loro gli occhi, belle,
lunghe, pantaloni di tuta, camicie stracciate. Come le loro vite. Che mi
tornano davanti ogni notte».
Effetto indiretto, secondario e ignorato di
una tragedia riflessa negli incubi del pescatore che odia il mare.
9) Siria, De Mistura: “Dal 16 al 19 maggio la ripresa dei
colloqui a Ginevra”
L'inviato Onu:
"L'obiettivo è ottimizzare alcuni risultati potenzialmente promettenti del
recente incontro di Astana"
di redazione
- Mag 11, 2017
Dal 16 al 19
maggio a Ginevra si svolgerà il terzo round di colloqui intra-siriani tra
governo e opposizione. Lo ha detto l’inviato speciale dell’Onu per la Siria
Staffan de Mistura, evocando un nuovo approccio più “businnesslike” e
pragmatico.
La riunione è
stata indetta per la settimana prossima al fine di “battere il ferro finché è
caldo” e quindi per ottimizzare alcuni risultati “potenzialmente promettenti”
del recente incontro di Astana, organizzato da Russia, Turchia e Iran, sfociato
in particolare in un’intesa per creare zone di de-escalation nel Paese in
conflitto. “Vogliamo connettere per quanto possibile questi risultati con un
orizzonte politico – ha spiegato De Mistura -. Sappiamo tutti che un cessate il
fuoco o una de-escalation non funzionerà mai in assenza di un orizzonte
politico a lungo termine“.
Nelle aree
interessate dall’intesa di Astana si sono registrate, però, nuove violazioni
del cessate il fuoco. La Turchia ne ha denunciate tre, mentre la Russia otto.
Mosca, in ogni caso, “giudica stabile la situazione nelle zone della
de-escalation”. Secondo il ministero della difesa si tratta di “episodi
occasionali di spari con armi piccole sono stati registrati nei distretti
controllati dai miliziani dei gruppi terroristici Jabhat al Nusra e Isis“.
Le forze
curdo-siriane, sostenute dagli Stati Uniti, hanno intanto un inedito segnale di
distensione alla Turchia, notoriamente ostile all’espansione territoriale nel
nord della Siria dell’ala siriana del Pkk, formazione considerata “terrorista”
da Ankara. In un comunicato citato dalla tv panaraba al Arabiya, le “Forze
democratiche siriane“, una piattaforma composta da milizie curde e arabe ma
dominate dall’ala locale del Pkk, hanno affermato di voler “stabilire relazioni
di buon vicinato con la Turchia”. Quest’affermazione giunge in un clima teso
tra Ankara, Washington e le forze curdo-siriane dopo che gli Usa hanno annunciato
un maggior sostegno militare a queste ultime nel quadro della “lotta al
terrorismo” dell’Isis nella Siria settentrionale confinante con la Turchia.
10) Siria: ong, 20 civili uccisi in raid
Bombardamento vicino a Raqqa, 'almeno 12 donne tra
le vittime' (ANSAmed)
BEIRUT, 15 MAG – È di circa 20 civili uccisi, di cui
12 donne, il bilancio di raid aerei della Coalizione a guida Usa nel nord della
Siria in una zona in mano all'Isis. Lo riferiscono l'Osservatorio nazionale per
i diritti umani e media locali. Il bombardamento aereo ha colpito, secondo le
fonti, la località di Akayrshe, a sud-est di Raqqa. Secondo alcuni resoconti il
raid ha preso di mira un autobus sul quale viaggiavano civili. Altre
testimonianze parlano di un bombardamento su edifici.
11) Siria, la denuncia di Amnesty:
“13mila impiccagioni segrete in un carcere vicino Damasco”
Secondo Amnesty International tra il 2011 e il 2015 gruppi di 50 detenuti venivano impiccati di notte ogni settimana. L’ong ha raccolto anche testimonianze su ripetute torture e privazione sistematica di cibo, acqua e farmaci. Il governo smentisce.
8 FEBBRAIO 2017 - 11:00 di Susanna Picone
In Siria, nel carcere di
Saydnaya vicino Damasco, in
quattro anni sarebbero morte almeno tredicimila persone per mano del regime di
Assad. A denunciare la strage è Amnesty International in un
dettagliato rapporto intitolato “Il mattatoio umano: impiccagioni di massa e
sterminio nel carcere di Saydnaya”. Secondo l’ong di notte, quando nel carcere
regnava il silenzio, gruppi di 50 detenuti venivano impiccati due o tre volte a
settimana. Una pratica tenuta segreta e che sarebbe andata avanti dal settembre
2011 al dicembre 2015 ma che potrebbe essere tuttora in vigore. Secondo
Amnesty, molti prigionieri sarebbero morti anche per le “politiche di
sterminio” delle autorità, che comprendono torture ripetute, privazione del
cibo, dell’acqua e delle medicine.
Le testimonianze di torture raccolte da Amnesty
Situato a una trentina di chilometri a Nord della capitale, il carcere di Saydnaya era luogo di raccolta già prima della rivolta del 2011 per migliaia di detenuti che in seguito hanno raccontato di agghiaccianti storie di tortura. Secondo Amnesty, il penitenziario può ospitare da 10000 a 20000 detenuti, che sono in maggioranza, militanti, islamisti, e oppositori politici. Il rapporto di Amnesty si basa sui racconti di 84 testimoni tra ex detenuti, giudici, avvocati e guardie. Le impiccagioni, secondo questo rapporto, avvenivano generalmente di lunedì o martedì. I detenuti venivano portati davanti a una Corte militare e il giudice si limitava a chiedere se l’imputato aveva commesso o no i crimini. Ma in ogni caso la persona sotto accusa veniva condannata. All’imputato non veniva neppure concessa la possibilità di avere un avvocato.
Susanna Picone
(Continua su: http://www.fanpage.it/siria-la-denuncia-di-amnesty-13mila-impiccagioni-segrete-in-un-carcere-vicino-damasco/ - http://www.fanpage.it/).
12) Isis: ’sospetti test
chimici su uomini'
Media Gb, militari ne avrebbero
trovato traccia a Mosul
Redazione ANSA LONDRA - 21 maggio 2017 16:25 – NEWS
L'Isis avrebbe testato nei mesi scorsi armi chimiche su
"cavie umane" in vista di ipotetici attacchi contro "obiettivi
occidentali", inclusa la possibile contaminazione di "cibo o
acqua". Lo sostengono fonti militari americane e britanniche riprese dal
Times e dall'Independent.
Tracce di questi presunti esperimenti risultano essere
state trovare in alcuni documenti nascosti nell'università di Mosul, nella zona
riconquistata all'Isis della città dell'Iraq.
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA
(http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2017/05/21/isis-sospetti-test-chimici-su-uomini_2ce7e989-cd15-4fe2-85a4-f07ab2ac6622.html).
13) Incubo Isis,
sospetti test chimici su cavie umane
Allarme da Usa e Gb, potrebbero voler
'contaminare acqua e cibo'
22 maggio, 09:29 – ANSA - MONDO
[Per la visione del video si rimanda
al link in calce, N.d.A]
14) Isis, il Times
rivela: a Mosul tracce di esperimenti chimici su cavie umane
22 MAGGIO 2017 - 08:30
I miliziani avvelenavano con pesticidi
i pasti di alcuni prigionieri, morti dopo lunghi giorni di agonia. Fonti
militari parlano di "prove" per attacchi contro ipotetici obiettivi
occidentali
L'Isis avrebbe testato nei mesi scorsi
armi chimiche su "cavie umane" in vista di ipotetici attacchi contro
"obiettivi occidentali", inclusa la possibile contaminazione di
"cibo o acqua". Lo sostengono fonti militari americane e britanniche
riprese dal Times. Tracce di questi presunti esperimenti sarebbero state
trovare in alcuni documenti nascosti nell'università di Mosul, nella zona
riconquistata all'Isis della città irachena.
Documenti nascosti nell'università di Mosul, nella
zona riconquistata all'Isis della città dell'Iraq.
Ad essere
usati come cavie umane dai miliziani degllo Stato islamico sembra siano stati
alcuni prigionieri, morti dopo un'agonia lunga anche dieci giorni in
esperimenti di "stile nazista", scrive The Times. I documenti che
raccontano questi orrendi crimini erano stati nascosti dalle forze speciali
irachene dopo la riconquista di parte della roccaforte dei jihadisti. I
militari scoprirono in alcune delle stanze occupate dall'Isis tracce di almeno
due agenti chimici con cui sarebbero stati effettuati gli
"esperimenti".
Secondo le
ultime rivelazioni del Times, che arriverebbero dagli apparati di sicurezza
americani e britannici, i jihadisti avrebbero avvelenato per giorni i pasti dei
prigionieri con composti di pesticidi portandoli alla morte dopo lunghi periodi
di sofferenza. Sempre nei documenti, i terroristi parlano di "arma letale
ideale" e sostengono di essere in possesso "di diverse
soluzioni" per raggiungere i loro scopi. Uno scenario che il Times non ha
esitato a definire "un salto indietro verso il nazismo".
(http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/isis-il-times-rivela-a-mosul-tracce-di-esperimenti-chimici-su-cavie-umane_3072674-201702a.shtml).
Come quel pescatore di Lampedusa
che non pesca più dopo che ha visto annegare chi stava per salvare, ma che non
ce la faceva a salire a bordo e lui non riusciva a tirarli su, la tentazione è
quella di abbandonare l'accumularsi di notizie non certo eclatanti e belle.
Ma c'è gente che paga con la vita
la violenza, l'egoismo e l'odio di altri potenti o meno, perché potenti non significa
intelligenza ma portafoglio pieno ed in grado di sottopagare i propri
scagnozzi. La vita sta andando avanti così, per ora. E allora andiamo avanti
anche se nei sogni ricorrono morti, uccisioni, reali che ingigantiscono e
diventano sempre più deboli per affrontare adeguatamente la disumanizzazione dell'uomo con l'assassinio
di una quantità indescrivibile di gente. Chi comanda va avanti a fare riunioni
che forse non hanno quell'importanza che si crede, e con un dispiegamento di forze, i cui soldi potrebbero essere usati
diversamente a favore di chi muore di fame, di sete, di mancanza di cure anche
minime. Quel pescatore che non è riuscito a salvare chi stava per annegare è un
simbolo che l'umanità sta anche migliorando, anche se si affinano sempre più le
metodiche per piegare la stessa umanità allo strapotere di qualcuno nascosto o
meno che tenta la scalata in alto, ma non si accorge di essere sulla torre di
babele, il cui finale tutti conosciamo.
Grazie come sempre ai volontari seri
che accompagnano come possono questi fratelli dimenticati, non aiutati dalle
grandi nazioni che devono pensare a vendere armi ed a mettere gli uni contro
gli altri.
15) Siria, l’Onu denuncia una
“sconvolgente perdita di civili” nei raid su Raqqa Human Right Watch critica l'uso di fosforo
bianco da parte della coalizione a guida Usa. Washington smentisce
I bombardamenti su Raqqa,
roccaforte in Siria dell’Isis, da parte della Coalizione a guida Usa hanno
provocato una “sconvolgente
perdita di civili“. Lo hanno denunciato – secondo la Bbc
– i responsabili Onu che indagano sui crimini di guerra.
Human
Rights Watch ha
intanto criticato l’uso di bombe
al fosforo bianco da parte della Coalizione internazionale
sulla roccaforte jihadista, anche se ha aggiunto di non essere in grado di “verificare indipendentemente”
se tali armi abbiano provocato vittime civili. Nelle ultime settimane fonti
degli attivisti hanno denunciato raid con armi al fosforo bianco contro l’Isis
sia a Raqqa sia a Mosul,
in Iraq, ma gli Stati Uniti hanno sempre
smentito di averne fatto un uso illegale. Secondo le
convenzioni internazionali, il fosforo bianco, che può provocare gravissime ustioni sulle
persone, può essere impiegato per illuminare il campo di battaglia o provocare
cortine di fumo, ma non
per colpire aree abitate.
“Indipendentemente
da come sia usato,
il fosforo bianco pone un alto rischio di ferite orribili e di lunga durata in
città popolose come Raqqa e Mosul e in ogni altra area con alta concentrazione
di civili”, afferma Steve
Goose, direttore per il controllo sugli armamenti di Human
Rights Watch. “Le forze a direzione Usa – ha aggiunto Goose – devono prendere
tutte le precauzioni
possibili per ridurre al minimo il danno sui civili quando
usano il fosforo in Iraq e in Siria”
16) Siria, Onu
denuncia centinaia di vittime civili in raid Usa a Raqqa: usate bombe al
fosforo
Commissari Onu che
indagano sui crimini di guerra in Siria denunciano centinaia di vittime civili
provocate dai raid Usa, intanto la coalizione anti Isis ammette l’uso di bombe
al fosforo.
MEDIO ORIENTE 15
GIUGNO 2017 10:39 di Antonio Palma
Siria, la battaglia di Raqqa sembra entrata nell'ultimo quarto
Caricato da
askanews
La battaglia per la liberazione di Raqqa, la roccaforte dell'Isis in Siria, si sta rivelando una catastrofe umanitaria per i civili intrappolati in città tra bombe, combattimenti e mine. Secondo quanto denunciato dai responsabili Onu che indagano sui crimini di guerra in Siria, infatti, negli ultimi giorni dell'offensiva della coalizione arabo curda guidata dagli Stati Uniti (SDf), la città è stata obiettivo di decine di raid aerei da parte degli Usa che hanno causato almeno 300 vittime tra i civili. L'operazione militare, iniziata la scorsa settimana con un attacco terrestre sostenuto da bombardamenti aerei, ha trasformato l'intera area in un cumulo di macerie facendo centina di vittime e migliaia di sfollati.
La battaglia per la liberazione di Raqqa, la roccaforte dell'Isis in Siria, si sta rivelando una catastrofe umanitaria per i civili intrappolati in città tra bombe, combattimenti e mine. Secondo quanto denunciato dai responsabili Onu che indagano sui crimini di guerra in Siria, infatti, negli ultimi giorni dell'offensiva della coalizione arabo curda guidata dagli Stati Uniti (SDf), la città è stata obiettivo di decine di raid aerei da parte degli Usa che hanno causato almeno 300 vittime tra i civili. L'operazione militare, iniziata la scorsa settimana con un attacco terrestre sostenuto da bombardamenti aerei, ha trasformato l'intera area in un cumulo di macerie facendo centina di vittime e migliaia di sfollati.
Secondo uno dei commissari Onu, circa duecento morti sarebbero stati causati dai bombardamenti aerei in un unico villaggio preso di mira dai caccia Usa. "In particolare notiamo che l'intensificazione degli attacchi aerei, che hanno posto il terreno per un avanzamento di SDF a Raqqa, ha portato non solo alla sconvolgente perdita di vite tra i civile, ma ha anche portato a 160mila sfollati costretti a fuggire dalle loro case", ha aggiunto il presidente della commissione d'inchiesta ONU, Paulo Pinheiro, sottolineando: "L'imperativo di combattere il terrorismo non deve avvenire a spese dei civili che si trovano a vivere senza volerlo in aree dove è presente l'Isis". In città infatti vi sono decine di migliaia di civili, prigionieri di guerra, donne Yazidi recluse e alcune migliaia di militanti Isis".
Siria, milizie arabo-curde conquistano quartiere di Raqqa ovest
Caricato da
askanews
Dell'alto numero di vittime civili dell'offensiva si era parlato già la scorsa settimana, quando sono emersi alcuni filmati in cui si vedono aerei della coalizione lanciare su Mosul, l'altra ex roccaforte Isis, in Iraq, bombe al fosforo bianco, munizioni che ricadendo a terra provocano ustioni profonde che raggiungono i muscoli e le ossa. "Non importa in che modo sia usato, il fosforo pone un alto rischio di gravi danni a lungo termine per città densamente abitate come Raqqa e Mosul, e in altre zone dove c'è un'alta concentrazione di civili" ha denunciato la Ong Human Rights Watch, aggiungendo: "Le forze Usa dovrebbero utilizzare tutte le precauzioni possibili per ridurre al minimo la possibilità di colpire i civili mentre usano il fosforo bianco in Iraq e Siria".
La conferma
dell'uso di bombe al fosforo sarebbe arrivata dal generale delle forze
armate neozelandesi Hugh Mc Aslan che però ha parlato di raid proprio per
salvare i civili.
"Abbiamo
fatto uso del fosforo bianco a Mosul per creare una cortina di fumo e
consentire ai civili di fuggire", avrebbe spiegato l'alto ufficiale a
una radio pubblica americana secondo quanto scrive Le Monde, assicurando che "la
coalizione prende tutte le ragionevoli precauzioni per limitare il rischio di
lesioni accidentali a non combattenti e danni alle strutture civili".
Seppur non vietato in generale, l'uso del fosforo bianco è proibito contro
qualsiasi obiettivo militare che si trova in aree in cui si concentrano civili.
Antonio Palma
(Continua su: http://www.fanpage.it/siria-onu-denuncia-centinaia-di-vittime-civili-in-raid-usa-a-raqqa-usate-bombe-al-fosforo/ - http://www.fanpage.it/).
17) Nei paesi ricchi povero un bambino su 5
15 giugno 2017 – Secondo il 14° rapporto della serie Report Card, "Costruire il futuro - I
bambini e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile nei paesi ricchi”,
reso pubblico oggi dall’UNICEF-Centro di Ricerca Innocenti (IRC), un bambino su
cinque, nei Paesi ricchi, vive in relativa povertà economica e uno su 8 si
trova ad affrontare problemi di insicurezza
alimentare.
“Costruire il futuro" è il primo rapporto che valuta le
condizioni dei bambini in 41 Stati ad alto reddito in relazione agli Obiettivi
di Sviluppo Sostenibile (SDGs)
identificati come i più importanti per il loro benessere.
Lo studio stila una classifica dei
paesi in base alla loro performance ed elenca le sfide e le opportunità che le
economie avanzate affrontano per raggiungere gli impegni globali a favore dei
bambini.
Circa 1 bambino su 10 nei paesi ad
alto reddito vive in famiglie in cui neppure un genitore ha un impiego
stabile.
Fra i giovani fra i 15 e i 19 anni di
questi Stati circa 1 su 13 non lavora, non studia e non segue un programma di
formazione (NEET).
Nei paesi ad alto reddito (dato 2012)
il suicidio è la principale
causa di morte tra i giovani di
ambo i sessi tra i 15 e i 19 anni, con il 17,6% della mortalità totale
registrata in questa fascia di età.
E almeno 1 bambino su 10, nei paesi
esaminati, è regolarmente vittima di bullismo.
Il rapporto misura la qualità della
vita dei bambini e degli adolescenti nei paesi ricchi in base agli indicatori
degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
Porre fine alla povertà:
in media, 1 bambino su 5 nei paesi ad alto reddito vive in povertà reddituale
relativa, sebbene ci siano delle differenze rilevanti, da 1 su 10 in Danimarca,
Islanda e Norvegia, a 1 su 3 in Israele e Romania.
Porre fine alla fame:
una media di 1 bambino su 8 in paesi ad alto reddito affronta insicurezza
alimentare, aumentando a 1 su 5 nel Regno Unito e negli Stati Uniti e a 1 su 3
in Messico e Turchia.
Assicurare una vita in salute:
la mortalità neonatale è calata drasticamente nella maggior parte dei paesi; e
i tassi di suicidio fra gli adolescenti, di fertilità adolescenziale e di
alcolismo stanno diminuendo. Tuttavia, 1 adolescente su 4 ha riportato di
soffrire di 2 o più sintomi psicologici per più di una volta a settimana.
Assicurare istruzione di qualità: anche nei paesi con
risultati migliori, inclusi Giappone e Finlandia, circa un quinto dei
quindicenni non raggiunge livelli di competenza minimi in lettura, matematica e
scienze.
Raggiungere la parità
di genere: in media, il 14% degli adulti intervistati in 17
paesi ricchi ritiene che l’istruzione universitaria sia più importate per i
ragazzi che per le ragazze.
Italia,
bambini sotto stress ma senza fenomeni estremi
L'Italia occupa una posizione
intermedia (24° posto sui 41 Stati dell'UE e dell'area OCSE
presi in esame) nella tabella generale di confronto relativa ai 9 Obiettivi di
Sviluppo Sostenibile analizzati.
Il nostro paese ricopre una posizione
di eccellenza in "Pace, giustizia e istituzioni
efficaci" (2° posto), mentre ottiene il suo risultato
peggiore nell’obiettivo
"Eliminazione della povertà" (31° posto).
In Italia il 25,1% dei bambini vive in povertà reddituale relativa e il 51% in povertà multidimensionale (il 5° tasso più alto).
Con l'11,2% dei 15-19enni che non
lavora, non studia e non segue un programma di formazione (NEET) il nostro
paese si colloca nell’ultimo terzo della classifica per questo obiettivo (30°);
il 9,7% dei minorenni vive in famiglie senza lavoro.
L'Italia ha la più alta percentuale di bambini di età compresa tra gli 11 e i 15 anni che riferiscono di soffrire di due o più sintomi di disagio psicologico per almeno una volta alla settimana (36,5%).
L’Italia occupa il quintultimo posto per tasso di omicidio infantile nella tabella (0,19 casi su 100.000).
Il tasso di bullismo cronico
auto-segnalato è il terzo più basso per questo gruppo di paesi (il 5,2% degli
11-15enni ha subito episodi di bullismo almeno due volte al mese).
- Il tasso di suicidio tra gli
adolescenti (15-19 anni) è di 1,9 su 100.000 (il secondo più basso). Il paese
ha anche il quarto tasso di ubriachezza più basso tra i bambini di età compresa
tra 11 e 15 anni, pari al 4,4%.
“La
Report Card 14 è un campanello d’allarme, che ci ricorda che anche nei paesi ad
alto reddito il progresso non va a beneficio di tutti i bambini”
sottolinea Sarah Cook, direttrice
del Centro di Ricerca dell'UNICEF Innocenti. “Redditi più alti non portano automaticamente a condizioni
migliori per tutti i bambini, possono anzi aggravare le disparità. I governi di
tutti i paesi devono agire per assicurare che le differenze vengano ridotte e
che si effettuino progressi per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo
Sostenibile per i bambini.”
La classifica risulta positiva per quei paesi, fra i 41 analizzati, che appaiono spesso ai primi posti nelle ultime analisi comparative sullo sviluppo umano e infantile – Scandinavia, Germania e Svizzera –, meno positiva per i paesi del gruppo con reddito inferiore, tra cui Romania, Bulgaria e Cile.
Tuttavia un’analisi più attenta rivela
la presenza di margini di miglioramento ovunque, dato che tutti i paesi si
collocano su due o più obiettivi a metà o nell’ultimo terzo della classifica.
Per alcuni indicatori – disuguaglianza
di reddito, salute mentale autodichiarata degli adolescenti e obesità – il
trend mostra motivi di preoccupazione nella maggior parte dei paesi ricchi.
In due terzi degli Stati esaminati le
famiglie più povere con bambini si trovano oggi ancora più penalizzate rispetto
alla media del 2008.
Il tasso di obesità tra i giovani tra
gli 11 e i 15 anni e il numero di adolescenti che hanno riportato di soffrire
di 2 o più sintomi psicologici ogni settimana sta aumentando nella maggior
parte dei paesi. Sebbene molti paesi abbiano compiuto grandi progressi su
diversi indicatori, rimangono ancora profonde differenze in altre aree. I
livelli di reddito nazionali non rivelano tutte queste differenze: per esempio,
la Slovenia è molto più avanti rispetto a paesi decisamente più benestanti su
molti indicatori, mentre gli Stati Uniti si classificano al 37esimo posto su 41
nella classifica generale.
Sulla base dei risultati presentati
nella Report Card 14, l’UNICEF chiede ai paesi ad alto reddito di intraprendere
azioni in 5 aree chiave:
- Mettere i bambini al centro di un
progresso equo e sostenibile – Migliorare il benessere di tutti i bambini oggi
è fondamentale per raggiungere sia equità sia sostenibilità.
- Non lasciare nessun bambino indietro – Le medie nazionali spesso nascondono estreme disuguaglianze e una condizione di grande svantaggio dei gruppi più poveri.
- Migliorare la raccolta di dati comparabili – In particolare sulla violenza sui bambini, sullo sviluppo della prima infanzia, sulle migrazioni e sul genere.
- Utilizzare le classificazioni per adattare le risposte politiche in base ai contesti nazionali – Nessun paese ha avuto risultati positivi su tutti gli indicatori del benessere per i bambini e tutti i paesi stanno affrontando delle sfide per raggiungere almeno alcuni degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibili incentrati sui bambini.
Per scaricare il PDF del Rapporto UNICEF Report Card 14
"Costruire il futuro":
https://www.unicef.it/Allegati/Costruire_il_futuro.pdf
(https://www.unicef.it/doc/7633/nei-paesi-ricchi-povero-un-bambino-su-5.htm).
18) L’Unicef
e la povertà nei Paesi agiati: “Un bambino su 8 vittima di insicurezza
alimentare”
L'ente delle Nazioni unite evidenzia i dati
nel rapporto "Costruire il futuro": 1 minore su 5 in condizioni di
povertà relativa in Stati ricchi
di
redazione - Giu 17, 2017Blog
15 giugno 2017 di: Dazebao (da Interris Articolo 21)
Nascere in
un Paese agiato e vivere in condizioni ugualmente benestanti, a quanto pare,
sono due fattori che non sempre corrispondono. Questo, almeno, quanto emerso
dai dati raccolti dall’Unicef sul tenore di vita dei bambini in 41 Paesi ad
alto reddito, convogliati nel rapporto “Costruire il futuro – I bambini e gli
obiettivi di sviluppo sostenibile nei Paesi ricchi”. Numeri interessanti che,
in un certo senso, aprono una finestra sulle condizioni di vita dei minori in
Stati che, almeno apparentemente, risultano condurre un’esistenza agiata. In
realtà, come specificato dalla direttrice dell’Unicef Innocenti, Sarah Cook,
“redditi più alti non necessariamente portano a condizioni migliori per tutti i
bambini, anzi possono aggravare la disparità”.
Unicef: “Un bimbo su 5 in povertà”
I dati sono
calcolati in base agli obiettivi di sviluppo dei rispettivi Stati i quali, in
qualche modo, vanno a influire sulla disuguaglianza sociale, non equiparando in
molti casi i tenori di vita di tutte le fasce di una determinata società. Da
qui, ad esempio, la messa in evidenza di una percentuale di insicurezza
alimentare per un bambino su 8, mentre almeno 1 su 5 vive in condizioni di
povertà relativa. Altrettanto interessante è notare come nella fascia di età
compresa fra i 15 e i 19 anni, in molti Paesi, vi sia un’elevata percentuale di
giovani che non lavora e non studia ma, allo stesso tempo, non segue un
programma di formazione adeguato. E questo, in modo piuttosto impensabile, si
verifica in Paesi su alti livelli di sviluppo.
Soluzioni efficaci
Anche
l’Italia è rientrata nell’indagine Unicef e, a questo proposito, è emerso un
ritardo piuttosto corposo del nostro Paese nel campo dell’Eliminazione della
povertà. L’ente delle Nazioni unite ha indicato che, in Italia, il 25,1% dei
bambini vive in condizioni di povertà relativa, mentre il 51% di povertà
multidimensionale. Dati significativi che, a quanto pare, mostrano come anche
in Paesi avanzati a livello di sviluppo emergano disuguaglianze sociali
altrettanto marcate. L’obiettivo dell’Unicef, in questo senso, è premere per
l’adozione di efficaci programmi di formazione che tengano conto dei minori
compresi in ogni fascia di reddito e, allo stesso tempo, applicare soluzioni
che impediscano la nascita di differnziazioni in società. Non ultimo,
migliorare la comparazione dei dati su temi strettamente correlati alla vita
sociale come l’immigrazione, la violenza sui minori, il bullismo e lo sviluppo
della prima infanzia.
Si rilevano significative differenze
fra diversi Paesi: da un bambino su 10 in povertà relativa in Danimarca, Islanda e Norvegia si
passa a uno su tre in Israele e Romania. In due terzi dei paesi ad alto
reddito, il 40% più povero delle famiglie con bambini ha un reddito minore
rispetto al 10% più ricco. Questo divario di reddito si é ridotto notevolmente
in Islanda successivamente alla crisi
finanziaria del 2008, mentre é aumentato significativamente in Australia,
Estonia, Grecia, Ungheria, Slovacchia e Spagna. Nella maggior parte dei Paesi
ad alto reddito, il divario di reddito fra il 10% più povero della popolazione
e coloro che si trovano nella mediana é aumentato dal 2008. Circa un bambino su
10 nei Paesi ad alto reddito vive in famiglie in cui nessun adulto possiede un
impiego: questo numero aumenta a circa 1 bambino su 7 in Bulgaria, Ungheria,
Nuova Zelanda, Spagna e Regno Unito e a circa 1 su 5 in Irlanda. Un bambino su
otto in Paesi ad alto reddito soffre di insicurezza alimentare: ciò significa
che non ha un accesso garantito a cibo sufficiente, sicuro e nutriente. I tassi
di insicurezza alimentare tra i bambini variano notevolmente: da 1 su 70 in
Giappone a 1 su 3 in Messico e Turchia. Anche l’obesità é una forma di
malnutrizione, e la sua incidenza é in aumento, con rare eccezioni, in tutti i Paesi.
Tutti i Paesi ad alto reddito hanno già ridotto i propri tassi di mortalità neonatale
al di sotto del traguardo globale di 12 morti per 1.000 nati vivi. La Slovenia
ha più che dimezzato il proprio tasso di mortalità neonatale tra il 2005 e il
2015. Nei Paesi ad alto reddito, nel 2012, il suicidio é stato la principale
causa di morte tra i giovani di 15-19 anni di entrambi i sessi, avendo
provocato il 17,6% di tutti i decessi. In media gli adolescenti maschi
presentano tassi di suicidio tre volte più elevati di quelli femminili, anche
se i tentati suicidi tra le adolescenti sono due volte più numerosi che tra i
maschi. Le misurazioni delle competenze di base nella lettura, nella matematica
e nell’alfabetizzazione scientifica indicano che, nei Paesi ad alto reddito, 1
quindicenne su 3 non raggiunge un livello di competenze basilare. Persino nei
Paesi più virtuosi, questa proporzione si assesta a un quindicenne su cinque.
I bambini migranti privi di documenti
sono esclusi dall’istruzione scolastica in Bulgaria, Finlandia, Ungheria
Lettonia e Lituania. In media, il 14% degli adulti nei Paesi del campione
ritiene che l’istruzione superiore sia più importante per i ragazzi che per le
ragazze, seppur con un ampio ventaglio di opinioni: l’idea é sostenuta dal 3%
degli intervistati in Svezia e dal 32% in Turchia. Alla fine del 2013, le donne
rappresentavano il 55% dei diplomati di scuola superiore e il 58% dei laureati
con un titolo di primo livello nei paesi OCSE. Nonostante ciò, le donne
guadagnano in media il 15,5% in meno rispetto agli uomini e detengono solo il
27,9% dei seggi nelle assemblee legislative nazionali. La frequenza
dell’ubriachezza fra gli adolescenti sta diminuendo nei paesi ad alto reddito:
in Bulgaria e in Danimarca, nel 2014, il 13% dei bambini fra gli 11 e i 15 anni
si era ubriacato almeno una volta nel corso del mese precedente. Un valore 7
volte maggiore a quello del Paese con l’incidenza minore, l’Islanda. Nove degli
11 paesi con i tassi più elevati si trovano nell’Europa centrale e orientale.
Le nazioni dell’Europa meridionale hanno generalmente tassi di ubriachezza tra
gli adolescenti inferiori alla media. Il tasso di fertilità adolescenziale sta
diminuendo in tutti i Paesi ad alto reddito. I progressi sono stati
particolarmente marcati in Islanda, che ha ridotto il proprio tasso del 63,5%
fra il 2005 e il 2015; ma altri 10 Paesi hanno messo a segno riduzioni
superiori al 40%. Fra i giovani tra i 15 e i 19 anni nei Paesi ad alto reddito,
circa 1 giovane su 13 non lavora, non studia e non segue un programma di
formazione (NEET); la quota di questi giovani inattivi é molto più alta in
Europa meridionale e in America Latina, i tassi più bassi si riscontrano
nell’Europa settentrionale e centrale. Il 6% delle donne europee fra i 18 e i
29 anni ha affermato di essere stata vittima di violenze sessuali da parte di
adulti prima dei 15 anni. Danimarca, Francia, Regno Unito e Lussemburgo hanno
riportato tutti tassi superiori alla media. Almeno un bambino su 10 nei Paesi esaminati é regolarmente vittima di
bullismo, con un’incidenza particolarmente elevata nei paesi baltici. La metà dei
Paesi ad alto reddito studiati non rispetta gli standard di sicurezza fissati
dall’Oms per la qualità dell’aria urbana; i bambini sono particolarmente
vulnerabili a questo tipo di inquinamento.
(http://www.corrierequotidiano.it/1.65944/cronaca/3715/italia-al-24%C2%B0posto-lo-sviluppo-sostenibile-nei-paesi-ocse).
19) Guerre, violenze, persecuzioni: nel 2016 il più alto numero di
rifugiati mai registrato
Blog - 20 giugno 2017 - di: Carta di Roma
Secondo
il rapporto dell’Unhcr, il fenomeno delle migrazioni forzate causate da guerra,
violenze e persecuzioni in tutto il mondo, nel 2016 ha colpito 65,6 milioni di
persone. Il livello più alto mai registrato.
Il Global Trends 2016 è la principale indagine sui flussi
migratori a livello mondiale condotta dall’Unhcr e afferma
che, alla fine del 2016, le persone costrette ad abbandonare le proprie case
nel mondo sono 65,6 milioni – circa 300.000 in più rispetto all’anno precedente.
Il totale di 65,6 milioni è costituito
da tre componenti principali. La prima è il numero dei rifugiati a livello
mondiale, 22,5 milioni, il più alto mai registrato. Di
questi, 17,2 milioni ricadono sotto il mandato dell’Unhcr, mentre i rimanenti
sono rifugiati palestinesi sotto il mandato dell’organizzazione sorella Unrwa.
Il conflitto in Siria rimane la principale causa di origine di rifugiati (5,5
milioni), ma nel 2016 il principale elemento è stato il Sud Sudan, dove
l’interruzione del processo di pace ha contribuito alla fuga di 739.900 persone
alla fine dell’anno.
La seconda componente è data
dalle persone sfollate all’interno del proprio Paese, il cui numero si è attestato a 40,3
milioni alla fine del 2016 (rispetto ai 40,8 milioni dello scorso anno).
La terza componente sono i richiedenti
asilo: alla fine del 2016 il numero di
richiedenti asilo a livello mondiale è stato di 2,8 milioni.
65,6 milioni di persone in questa
situazione vuol dire che, in media, nel mondo, 1
persona ogni 113 è costretta ad abbandonare la propria casa. «È una situazione inaccettabile da cui
emerge sempre più chiaramente la necessità di solidarietà e di uno sforzo
comune nel prevenire e risolvere le crisi, assicurandosi nel
frattempo che rifugiati, sfollati interni e richiedenti asilo siano
adeguatamente protetti e assistiti in attesa che vengano trovate soluzioni adeguate»
ha dichiarato l’alto commissario delle nazioni unite per i rifugiati, Filippo
Grandi. «Dobbiamo fare
di più per queste persone. In un mondo in conflitto, quello che
serve sono determinazione e coraggio, non paura».
Reinsediamento
e paesi di provenienza
I Global
Trends hanno
inoltre rilevato come le migrazioni forzate abbiano riguardato persone che in
precedenza non erano mai state costrette ad abbandonare le proprie case. Nel
2016, sono stati 10,3 milioni i nuovi migranti forzati, circa due terzi di loro
(6,9 milioni) sono fuggiti all’interno dei confini nazionali.
Ciò significa che nel mondo ogni 3 secondi 1 persona è costretta ad
abbandonare la propria casa – meno del tempo necessario per leggere questa
frase.
Tuttavia il 2016 ha portato anche prospettive
di miglioramento: circa
37 Paesi hanno ammesso un totale di 189.300 rifugiati ai propri programmi di
reinsediamento. Circa mezzo milione di altri rifugiati hanno
potuto fare ritorno nei loro Paesi di origine e circa 6,5 milioni di sfollati
interni sono tornati nelle loro zone, anche se molti sono restati comunque in
condizioni di incertezza.
In tutto il mondo, alla fine del 2016
la maggior parte dei rifugiati – l’84% – si trovava in Paesi a basso o
medio reddito, con una persona su tre (per un totale di 4,9 milioni) ospitata
nei Paesi meno sviluppati.
Da questo squilibrio conseguono diverse osservazioni: la continua mancanza di
consenso internazionale in materia di rifugiati e la vicinanza di molti Paesi
poveri alle regioni in conflitto, tra le altre. Emerge inoltre la necessità dei
Paesi e delle comunità ospitanti di ricevere risorse e sostegno, senza i quali
c’è il rischio che possano crearsi situazioni di instabilità, con conseguenze
sulle operazioni umanitarie o sui flussi migratori secondari.
La Siria è ancora il Paese con il
numero più alto di persone in fuga: 12 milioni di individui sfollati interni al
Paese o fuggiti all’estero come rifugiati o richiedenti asilo. Inoltre,
colombiani e afghani, rispettivamente con 7,7 e 4,7 milioni, rappresentano
anche quest’anno, la seconda e la terza popolazione di rifugiati più vasta,
seguiti da iracheni (4,2 milioni) e sud sudanesi (3,3 milioni).
I bambini costituiscono la metà dei
rifugiati del mondo. Nel 2016 le richieste di asilo presentate da bambini non
accompagnati o separati dai loro genitori sono state 75.000. Un numero che,
secondo il rapporto, rappresenta probabilmente una sottostima della situazione
reale.
L’Unhcr stima che, alla fine del
2016, almeno 10 milioni di persone risultavano prive di nazionalità o a
rischio apolidia. Tuttavia, i dati raccolti dai governi
e comunicati all’Unhcr riferivano soltanto di 3,2 milioni di persone senza
nazionalità in 75 Paesi.
Spiace chiudere anche questo
raccapricciante articolo che parla solo di violenza di ogni tipo verso cui ci
stanno spingendo con toni che i vari presentatori mediatici ci fanno sorbire
con prolungati e dettagliatissimi particolari e con toni drammatici, enumerando
i morti in Europa e dimenticandosi però dei morti assassinati della Siria, dell’Afganistan,
della Somalia e di altre zone dove i deceduti superano di decine di migliaia
quelli declamati. Non lo so, ma i morti dell’est sono differenti dai morti
occidentali? O non sono abbastanza importanti da essere ricordati, visto che non
osano chiedere giustizia perché vengono mazzolati dai corpi speciali?Tenete sempre presente che ci sono tecniche psicopatologiche per manipolare la gente politicamente, economicamente ed anche pseudo - religiosamente con strumenti tecnologici sempre più evoluti: lo scenario di vita che ci vogliono imporre è la continua paura e il terrore di vivere, affinché questo condizioni noi ed i nostri figli e nipoti. Ma gli stessi bambini si stanno ribellando anche se la violenza si abbatte su di loro. La manipolazione delle masse è da un pezzo in atto: ragioniamo con la nostra testa e non con quella che ci propongono in continuazione politici, consiglieri i cui diplomi sono tutti da ridere.
E proprio in nome dei bambini del
futuro, chiudiamo con la storia di un bambino speciale.
20) La storia di IQBAL MASIH: un bambino coraggioso
Era nato nel 1983 Iqbal Masih e aveva quattro anni quando suo
padre decise di venderlo come schiavo a un fabbricante di tappeti. Per 12
dollari.
È l'inizio di una schiavitù senza fine: gli interessi del "prestito" ottenuto in cambio del lavoro del bambino non faranno che accrescere il debito.
Picchiato, sgridato e incatenato al suo telaio, Iqbal inizia a lavorare per più di dodici ore al giorno. È uno dei tanti bambini che tessono tappeti in Pakistan; le loro piccole mani sono abili e veloci, i loro salari ridicoli, e poi i bambini non protestano e possono essere puniti più facilmente.
Un giorno del 1992 Iqbal e altri bambini escono di nascosto dalla fabbrica di tappeti per assistere alla celebrazione della giornata della libertà organizzata dal Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (BLLF). Forse per la prima volta Iqbal sente parlare di diritti e dei bambini che vivono in condizione di schiavitù. Proprio come lui. Spontaneamente decide di raccontare la sua storia: il suo improvvisato discorso fa scalpore e nei giorni successivi viene pubblicato dai giornali locali.
Iqbal decide anche che non vuole tornare a lavorare in fabbrica e un avvocato del BLLF lo aiuta a preparare una lettera di "dimissioni" da presentare al suo ex padrone. Durante la manifestazione Iqbal conosce Eshan Ullah Khan, leader del BLLF, il sindacalista che rappresenterà la sua guida verso una nuova vita in difesa dei diritti dei bambini. Così Iqbal comincia a raccontare la sua storia sui teleschermi di tutto il mondo, diventa simbolo e portavoce del dramma dei bambini lavoratori nei convegni, prima nei paesi asiatici, poi a Stoccolma e a Boston:
"Non ho più paura di lui - dice riferendosi al suo padrone - è lui che ha paura di me, di noi, della nostra ribellione. "Da grande voglio diventare avvocato e lottare perché i bambini non lavorino troppo". Iqbal ricomincia a studiare senza interrompere il suo impegno di piccolo sindacalista. Sarebbe diventato un avvocato, ne aveva la stoffa.
Ma la storia della sua libertà è breve. Il 16 aprile 1995, domenica di Pasqua, gli sparano a bruciapelo mentre corre in bicicletta nella sua città natale Muridke, con i suoi cugini Liaqat e Faryad. Due raffiche di proiettili gli tolgono la vita e Iqbal si accascia sulla bicicletta con cui stava finalmente giocando.
"Un complotto della mafia dei tappeti" dirà Ullah Khan subito dopo il suo assassinio. Qualcuno si era sentito minacciato dall'attivismo di Iqbal, la polizia fu accusata di collusione con gli assassini. Di fatto molti dettagli di quella tragica domenica sono rimasti poco chiari.
Aveva solo 12 anni. E mentre i suoi assassini sono liberi, il giornalista pachistano che ne ha raccontato la storia é stato accusato di un grave reato: "danneggia il commercio estero della nazione".
Con i 15 mila dollari del Premio Reebok per la Gioventù in Azione ricevuti nel dicembre '94 a Boston, Iqbal voleva costruire una scuola perché i bambini schiavi potessero ricominciare a studiare...
È l'inizio di una schiavitù senza fine: gli interessi del "prestito" ottenuto in cambio del lavoro del bambino non faranno che accrescere il debito.
Picchiato, sgridato e incatenato al suo telaio, Iqbal inizia a lavorare per più di dodici ore al giorno. È uno dei tanti bambini che tessono tappeti in Pakistan; le loro piccole mani sono abili e veloci, i loro salari ridicoli, e poi i bambini non protestano e possono essere puniti più facilmente.
Un giorno del 1992 Iqbal e altri bambini escono di nascosto dalla fabbrica di tappeti per assistere alla celebrazione della giornata della libertà organizzata dal Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato (BLLF). Forse per la prima volta Iqbal sente parlare di diritti e dei bambini che vivono in condizione di schiavitù. Proprio come lui. Spontaneamente decide di raccontare la sua storia: il suo improvvisato discorso fa scalpore e nei giorni successivi viene pubblicato dai giornali locali.
Iqbal decide anche che non vuole tornare a lavorare in fabbrica e un avvocato del BLLF lo aiuta a preparare una lettera di "dimissioni" da presentare al suo ex padrone. Durante la manifestazione Iqbal conosce Eshan Ullah Khan, leader del BLLF, il sindacalista che rappresenterà la sua guida verso una nuova vita in difesa dei diritti dei bambini. Così Iqbal comincia a raccontare la sua storia sui teleschermi di tutto il mondo, diventa simbolo e portavoce del dramma dei bambini lavoratori nei convegni, prima nei paesi asiatici, poi a Stoccolma e a Boston:
"Non ho più paura di lui - dice riferendosi al suo padrone - è lui che ha paura di me, di noi, della nostra ribellione. "Da grande voglio diventare avvocato e lottare perché i bambini non lavorino troppo". Iqbal ricomincia a studiare senza interrompere il suo impegno di piccolo sindacalista. Sarebbe diventato un avvocato, ne aveva la stoffa.
Ma la storia della sua libertà è breve. Il 16 aprile 1995, domenica di Pasqua, gli sparano a bruciapelo mentre corre in bicicletta nella sua città natale Muridke, con i suoi cugini Liaqat e Faryad. Due raffiche di proiettili gli tolgono la vita e Iqbal si accascia sulla bicicletta con cui stava finalmente giocando.
"Un complotto della mafia dei tappeti" dirà Ullah Khan subito dopo il suo assassinio. Qualcuno si era sentito minacciato dall'attivismo di Iqbal, la polizia fu accusata di collusione con gli assassini. Di fatto molti dettagli di quella tragica domenica sono rimasti poco chiari.
Aveva solo 12 anni. E mentre i suoi assassini sono liberi, il giornalista pachistano che ne ha raccontato la storia é stato accusato di un grave reato: "danneggia il commercio estero della nazione".
Con i 15 mila dollari del Premio Reebok per la Gioventù in Azione ricevuti nel dicembre '94 a Boston, Iqbal voleva costruire una scuola perché i bambini schiavi potessero ricominciare a studiare...
(http://www.sanstino.it/index.php?area=20&menu=125&page=342).
A Iqbal si ispira un film del 1998, un romanzo del 2001 e un film di animazione del 2015, “Iqbal - Bambini senza paura”, diretto da Michel Fuzellier e Babak Payami, che si ispira al succitato romanzo “Storia di Iqbal” di Francesco d'Adamo. Tale film di animazione ha il preciso scopo, nel rivolgersi ai più piccoli, di esaltare il ruolo di questo bambino coraggioso regalando alla sua storia un lieto fine.
Citiamo dalla recensione tratta da Edizioni Paoline:
Una possibile lettura
Iqbal è diventato il simbolo della
lotta allo sfruttamento dei bambini. Un argomento complesso che il film
racconta attraverso una trama semplice e avvincente focalizzando lo sguardo dei
piccoli spettatori, e non solo, su una condizione di estrema povertà. La scelta
degli autori di un doppio livello narrativo messi in rilievo da una differente
grafica che distingue anche visivamente la realtà dal sogno, rafforza le
emozioni regalando una ricchezza di colori e creatività. Al termine del film troviamo un rovesciamento delle regole educative
che vedono i bambini in ascolto silenzioso degli insegnanti. Qui sono i grandi
a ricevere una lezione da un ragazzo. Una visione inequivocabile del film che
riconosce come anche gli adulti possono imparare dai più piccoli. Malgrado
la spaventosa condizione in cui è costretto a vivere, il piccolo protagonista
non smette mai di rincorrere i suoi sogni esorcizzando così le paure e
rafforzando la speranza di una vita migliore. Con tenacia e un forte senso di
responsabilità, porta gli amici di sventura a riconquistare la fanciullezza, la
fantasia, l'amicizia, ritrovando la bellezza e la forza del vivere liberi. Oggi
purtroppo diventa sempre più difficile mettere in crisi la coscienza del mondo.
Le notizie di violenze, soprusi e maltrattamenti ci vengono mostrate con una
tale frequenza che noi rischiamo di non percepirle più come drammi
dell'umanità. E qui si pone una domanda: nel nostro cuore c'è ancora spazio per
reagire e indignarsi di fronte alle ingiustizie?
(Continua su: http://www.paoline.it/blog/musica-arte-e-cultura/1458-iqbal-bambini-senza-paura.html).
Grazie ancora a tutti i veri
volontari che sacrificano la loro vita e il cui aiuto incredibile li getta
anche in penose conseguenze psicologiche. Ma Qualcuno sta scrivendo tutto e
forse il suo libretto di appunti è quasi pieno.
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