Il problema del salvataggio dei migranti è
sempre in alto mare, proprio come loro. Tutti ne parlano alla loro maniera, si
fanno convegni nazionali e internazionali, e tutto viaggia quasi come prima,
anche se le soluzioni non sembrerebbero le più appropriate. In parte ricalcano
quello che si diceva più di un decennio fa: esclusa la guerra, aiutare la gente
nei propri territori e lì farli crescere.
Adesso poi la legge ha ampliato il
significato del termine ONG (Organizzazioni Non Governative) e questo sarebbe
il meno: fatto sta che non si conoscono bene i maneggi di alcune di queste
sedicenti organizzazioni, che sembrerebbero essere d'accordo con gli scafisti
per accogliere sulle loro imbarcazioni molti migranti inconsapevoli di essere
trattati come pacchi da caricare o scaricare, e chi ci va di mezzo sono proprio
loro. Forse è il nuovo governo mondiale che se ne frega dei baciapiedi e li usa
per i suoi scopi, e poi quei politici non sanno che magari tra qualche mese
sono a casa, e via discorrendo.
Tornando ai migranti si fanno più evidenti
i disagi (provocati) tra loro e i residenti con accentuazioni da prima pagina
se si ubriacano o tolgono il coltello da tasca, non certo per pulirsi le
unghie.
La verità è che c'è sempre qualcuno che ci guadagna a fare il “volontario”, e parecchio, anche se la chiamano mela marcia, e di queste ce ne sono sempre e in abbondanza, in tutti i campi ed in tutte le scale sociali. C'è chi invece si sacrifica veramente e può beccarsi qualche denuncia o anche lasciarci le penne se va contro gli affaristi.
1) Siria, il dramma delle spose bambine: sole e abbandonate preferiscono il suicidio.
Aumentano i casi di suicidio tra le giovani siriane costrette a sposarsi giovanissime. Un fenomeno quello delle nozze con ragazzine minorenni cresciuto negli ultimi anni: secondo l’Unicef, oggi in Siria le spose bambine sono il 35%.
IN SIRIA 7 AGOSTO 2017 19:09 di Mirko Bellis
Raw'a, era una ragazza gentile, carina e un po’ timida. Aveva solo 16 anni quando i suoi genitori la costrinsero a sposarsi. Il marito, poco dopo il matrimonio, entrò a far parte del sedicente Stato islamico. Otto mesi dopo le nozze, questa sposa bambina, in preda alla disperazione, decise di togliersi la vita impiccandosi nel bagno della sua casa ad Haas, un paesino nella zona rurale di Idlib, nel nord ovest della Siria. Secondo quanto ha dichiarato la zia, Raw’a era infelice e triste. In più di un’occasione le avrebbe confidato che il marito, un islamista radicale, l’ha picchiava e le proibiva di uscire di casa. Un giorno, la ragazza decise di scappare e di far ritorno dai genitori. Ma la delusione fu terribile. La sua decisione di divorziare fu vista dalla famiglia come un grave disonore e, dopo averla incolpata dalla situazione, la riportarono dal marito. “Si sentiva sola e abbandonata, sentiva che nessuno si preoccupava di lei o della sua sofferenza e così ha deciso di togliersi la vita”, ha affermato la zia.
Il dramma vissuto da Raw’a è comune a tante altre giovani siriane, date in spose dai genitori quando sono ancora bambine. I matrimoni precoci sono diffusi non solo ad Idlib, ma anche in altre zone rurali del Paese. La legislazione siriana stabilisce che l’età minima per contrarre matrimonio è di 18 anni per gli uomini e 17 per le donne. In determinati casi, tuttavia, un giudice può autorizzare le nozze anche con ragazze di 13 anni. Questo avveniva prima dello scoppio della guerra civile. Adesso, nelle zone controllate dalle forze ribelli, specialmente quelle dove il potere delle fazioni islamiste è totale, la legge siriana non viene rispettata. Non è richiesta nessuna autorizzazione giudiziaria e i comitati della Sharia – la legge islamica – sono gli incaricati di celebrare le nozze. E la sposa, spesso, è solo una bambina. La guerra che insanguina il Paese medio-orientale da più di sei anni ha cambiato anche le abitudini sociali. Secondo un rapporto dell’organizzazione umanitaria Save the Children, i genitori vedono le nozze precoci come un modo per proteggere le loro figlie da possibili aggressioni sessuali e un mezzo per superare le avversità della guerra. L'aumento del numero di spose bambine, inoltre, sarebbe legato al'arrivo dei giovani combattenti accorsi in Siria per unirsi alle numerose sigle ribelli.
È la storia di Marwa, di soli 13 anni. Nata in un piccolo paese rurale della provincia di Idlib, alla sua età dovrebbe andare a scuola, invece vive assieme al marito di dieci anni più grande. L’incubo per Marwa è iniziato quando un miliziano di Jaish al-Fatah, una fazione islamista siriana, ha chiesto la sua mano e il padre, costretto dalla povertà e temendo per la sua sicurezza, ha accettato. Il suo matrimonio è stato celebrato secondo la Sharia e non risulta in nessun registro ufficiale. Sabah è stata un'altra giovane vittima dei matrimoni precoci: costretta a sopportare un marito che non le permetteva di uscire di casa né di avere nessun rapporto con la famiglia, “Era giovane e bella. Amava la scuola, ma l'abbiamo costretta a smettere”, ha raccontato la madre. “Avevamo paura perché dove viviamo non c’era nessuna sicurezza e così l’abbiamo convinta a sposare un uomo ricco”, ha proseguito la donna. Sabah si è tolta la vita a sedici anni con un overdose di antidolorifici.
“Il matrimonio infantile era presente in Siria anche prima della guerra, ma è notevolmente aumentato negli ultimi anni. La povertà, la disoccupazione, la mancanza d’istruzione, le difficili condizioni di vita, oltre alla paura delle famiglie per la sicurezza delle loro ragazze, hanno reso il matrimonio l'opzione più semplice”, ha dichiarato lo psicologico Faten Sweid. Parole confermate anche dall'Unicef. Oggi in Siria le spose bambine sono il 35%, un fenomeno definito del Fondo della Nazioni Unite per l’infanzia “una tendenza preoccupante”. “Per quanto riguarda i matrimoni con minori – ha dichiarato Robert Jenkins, rappresentante dell'Unicef per la Giordania – sono coinvolte quasi esclusivamente bambine. Abbiamo visto un raddoppio nelle percentuali dei matrimoni siriani. Siamo passati dal 16% dei matrimoni di due anni fa al 35% di oggi”. Secondo l'Unicef, i "matrimoni precoci" sono le unioni (formalizzate o meno) tra minori di 18 anni, una realtà che tocca milioni di giovanissimi nel mondo. Sposarsi in età precoce – denuncia il Fondo Onu per l’infanzia – comporta una serie di conseguenze negative per la salute e lo sviluppo. Al matrimonio precoce segue quasi inevitabilmente l'abbandono scolastico e una gravidanza altrettanto precoce. Le spose bambine, inoltre, soffrono di depressione e, come nel caso di Ra’wa e Sabah, ricorrono al suicidio come unica via di fuga.
Mirko Bellis
(Continua su: http://www.fanpage.it/siria-il-dramma-delle-spose-bambine-sole-e-abbandonate-preferiscono-il-suicidio/ - http://www.fanpage.it/).
Purtroppo questa segnalazione è davvero
preoccupante, per non dire terrificante. Dove è possibile farla franca senza
scrupoli, le conseguenze segneranno a vita le ragazze che vi cascano, vuoi per
colpa dei genitori vuoi per colpa di chiunque altro abbia potere su di loro. Ma
queste ragazzine oggi sono più consapevoli di un tempo e tentano di sfuggire,
spesso senza riuscirci e con conseguenze fisiche e psicologiche che non si
immaginano. I governi locali hanno emanato leggi che vietano questi matrimoni e
sono sorte associazioni in difesa delle ragazze: nonostante ciò, la situazione
continua indisturbata, anzi se ne registra un incremento a causa delle
condizioni sociali da cui provengono queste ragazze, che molte volte mettono in
atto suicidi o tentativi maldestri di suicidio che ricadono poi sulla loro vita
sociale. Qualcosa si muove anche in quei paesi, ma molto lentamente (è già
qualcosa): speriamo che continui il lavorio sotterraneo delle nuove generazioni
aperte alla libertà e all'onore della vita.
Certo che fare accettare un nuovo modo di
vivere e relazionare in paesi sconosciuti è importantissimo e, sebbene ci siano
associazioni volontarie e mediatori linguistici che si danno da fare anche
gratuitamente, deve essere lo stato che si impegna, non con le chiacchiere dei
politici, ma seriamente, istituendo una modalità di accoglienza programmata per
il bene di tutti e non lasciando in strada a bighellonare la gente arrivata
come se non ci fosse nulla da fare.
2)
Un ricordo di Sushmita Banerjee, scrittrice indiana uccisa dai Talebani
nel 2013
Afghanistan
la scrittrice indiana Sushmita Banerjee uccisa dai Talebani
Sushmita
Banerjee è stata giustiziata dopo essere stata prelevata dalla sua abitazione.
In un libro aveva raccontato come era sfuggita al regime dei talebani.
ASIA
5 SETTEMBRE 2013 20:16 di Susanna Picone
Una scrittrice indiana è
stata uccisa in Afghanistan. Si tratta della 49enne Sushmita Banerjee, nota per
un libro che parla della sua fuga dai talebani. La scrittrice è stata
giustiziata dopo essere stata prelevata dalla sua abitazione. Ad ucciderla
sarebbero stati appunto alcuni talebani che, stando alla prima ricostruzione
della polizia, sono entrati nella sua casa a Kharana, nella provincia
occidentale di Paktika, e l’hanno portava fuori dove le hanno sparato. I
talebani avrebbero anche legato il marito della scrittrice, un uomo d’affari
afghano, e altri membri della sua famiglia in casa. Il cadavere è stato gettato
vicino a una scuola religiosa.
Nel libro raccontava la
sua fuga dai talebani – La notizia dell’uccisione della scrittrice è stata
diffusa oggi dal capo della polizia locale: “Abbiamo ritrovato stamani il corpo
crivellato di colpi vicino a una scuola nella città di Sharan, capoluogo della
provincia di Paktika”, ha detto Dawlat Khan Zadran. Sushmita Banerjee, nota
anche come Sayed Kamala, era tornata di recente a vivere in Afghanistan per
stare con suo marito. Nel 1995 la scrittrice indiana aveva pubblicato il suo
libro “Kunuliwala’s bengali wife” da cui era stato tratto anche un film di
Bollywood nel 2003 dal titolo “Escape from taleban”. Nel libro narrava appunto
della sua rocambolesca fuga dall’Afghanistan durante il regime talebano.
(Continua su: https://www.fanpage.it/afghanistan-la-scrittrice-indiana-sushmita-banerjee-uccisa-dai-talebani/ -
http://www.fanpage.it/)
3) Nigeria, adolescenti “regalate” dai
genitori per diventare kamikaze
Alcune ragazze nigeriane sono state
offerte dai loro stessi genitori ai terroristi di Boko Haram per compiere
attacchi kamikaze. Secondo la denuncia del portavoce dell’esercito, la
“donazione” sarebbe stato il contributo delle famiglie per consentire all’organizzazione
terroristica di continuare a realizzare attentati.
8 AGOSTO 2017 15:53 di Mirko Bellis
“Donate” per diventare terroriste suicide. E’ questo il crudele destino riservato alle giovani nigeriane dai loro stessi genitori. A denunciarlo è il portavoce dell’esercito, Sani Usaman. In un comunicato, il generale nigeriano ha affermato di avere le prove che alcuni genitori hanno concesso le loro figlie ai terroristi di Boko Haram (letteralmente “l'istruzione occidentale è proibita”) per essere indottrinate e convertirsi in kamikaze. “È stato scoperto che la maggior parte di queste sfortunate minori sono state “donate” alla setta terroristica dai loro genitori e tutori, come parte del loro contributo alla realizzazione delle codardi azioni di Boko Haram contro la società nigeriana e contro l'umanità”. Il portavoce dell’esercito nigeriano ha fatto anche un appello ai leader religiosi e delle comunità locali, soprattutto nel nord est del Paese, affinché dissuadano i genitori a consegnare le loro figlie ai terroristi di Boko Haram. “I nigeriani hanno la responsabilità e l'obbligo di formare i loro figli, proteggerli perché abbiano un futuro migliore, invece di condannarli a morte negli attentati suicidi”, ha detto Usman.
“Donate” per diventare terroriste suicide. E’ questo il crudele destino riservato alle giovani nigeriane dai loro stessi genitori. A denunciarlo è il portavoce dell’esercito, Sani Usaman. In un comunicato, il generale nigeriano ha affermato di avere le prove che alcuni genitori hanno concesso le loro figlie ai terroristi di Boko Haram (letteralmente “l'istruzione occidentale è proibita”) per essere indottrinate e convertirsi in kamikaze. “È stato scoperto che la maggior parte di queste sfortunate minori sono state “donate” alla setta terroristica dai loro genitori e tutori, come parte del loro contributo alla realizzazione delle codardi azioni di Boko Haram contro la società nigeriana e contro l'umanità”. Il portavoce dell’esercito nigeriano ha fatto anche un appello ai leader religiosi e delle comunità locali, soprattutto nel nord est del Paese, affinché dissuadano i genitori a consegnare le loro figlie ai terroristi di Boko Haram. “I nigeriani hanno la responsabilità e l'obbligo di formare i loro figli, proteggerli perché abbiano un futuro migliore, invece di condannarli a morte negli attentati suicidi”, ha detto Usman.
Le recenti rivelazioni di alcune ragazze,
arrestate prima di compiere le missioni kamikaze, hanno fornito all'esercito
nigeriano le prove dell’orribile gesto dei genitori. Gli attentati suicidi
compiuti da adolescenti e poi rivendicati da Boko Haram sono in aumento,
soprattutto nel Borno, uno dei 36 stati della Nigeria, situato nel
nord-est del Paese africano. L’ultimo attacco sventato nella capitale del
Borno, Maiduguri, risale a venerdì scorso, quando le forze di sicurezza sono
riuscite a neutralizzare tre attentatori suicidi, di cui due ragazze, prima che
si facessero esplodere. Nella sua dichiarazione, Usman ha esortato i nigeriani
a segnalare qualsiasi persona sospetta e i casi di sparizione di adolescenti.
Come incentivo, il governo ha ricordato la ricompensa di 500.000 Naira (poco più
di mille euro) a chiunque fornisca informazioni utili a prevenire gli attentati
suicidi.
Boko Haram ha giurato fedeltà al sedicente
Califfato islamico nel 2015 e nelle mani del gruppo terroristico nigeriano ci
sarebbero centinaia di adolescenti costretti ad uccidere in nome della jihad.
Nei primi sette mesi del 2017, sono state più di 145 le ragazze utilizzate dal
gruppo estremista per realizzare attentati kamikaze. Caserme, mercati e moschee
affollati, stazioni degli autobus e persino i campi degli sfollati sono stati
gli obiettivi della missioni suicide degli adolescenti convertiti in bombe
umane dagli spietati terroristi.
Sono moltissimi i bambini e i giovani
rapiti negli ultimi anni nei villaggi del Borno, come le 276 studentesse
sequestrate nell'aprile di tre anni fa dal dormitorio della loro scuola di
Chibok. Lo scorso maggio, grazie alla mediazione della Croce rossa
internazionale, 82 di loro sono state liberate. Ma a sorprendere fu il fatto
che alcune delle ragazze rapite avessero preferito rimanere con i loro
carcerieri piuttosto che ritornare dai genitori. Una delle ipotesi per spiegare
il gesto apparentemente folle di rimanere con i jihadisti, divenuti nel
frattempo i loro mariti, è stata quella di una possibile radicalizzazione delle
ragazze durante il sequestro. Secondo l’ultimo rapporto dell'Unicef, solo nel
2016, circa duemila minori sono stati reclutati con la forza in Nigeria e nei
Paesi limitrofi. L’indottrinamento al quale vengono sottoposti gli adolescenti
all'interno del gruppo terroristico è totale. E i ragazzi finiscono per
diventare dei feroci assassini, utilizzati per le missione suicide o per
uccidere senza pietà. Dal 2009 sono morte ventimila persone per mano di questa
organizzazione terroristica; oltre due milioni invece i profughi costretti a
fuggire di fronte alla violenza jihadista e del loro folle progetto di creare
uno Stato islamico nel nord-est della nazione più popolosa dell'Africa.
(Continua su: https://www.fanpage.it/nigeria-adolescenti-regalate-dai-genitori-per-diventare-kamikaze/ -
http://www.fanpage.it/).
Questo commento fa seguito a quello
precedente, purtroppo la miseria fa brutti scherzi e se si è mal indottrinati
no si sa dove si finisce.Se c'è un lento miglioramento tra le nuove
generazioni, però riamgono le teste sbagliate di molti adulti specie se
indottrinati in modo violento e con un poco di soldi e di un futuro da disastro
specie spirituale. Oggi molti pensano di diventare martiri perchè muoiono per
un fine fisico e l'idea è rafforzata da soggetti che devono propagandare l'odio
e non la civiltà di pace e vita sociale dignitosa per tutti. Forse c'è anche,
oltre a vecchie superstizioni, il nuovo ordine mondiale che continua a
diffondere il suo programma di appiattimento delle coscienze con l'aiuto anche
di società pubbliche, ma tarlate e asservite non alla propria nazione, ma al
governo mondiale.Speriamo in una torre di babele attuale e che distruggere l'opera
del maligno che sempre si nasconde sotto falso nome e che ha già perso in
partenza, anche se vince ancora qualche battaglia anche feroce. Aiutiamo chi
possiamo ed in ogni modo, l'uomo così sarà degno di essere chiamato tale, gli
altri sono destinati ad un destino degno delle loro malizie.
4)
Yemen, trafficante costringe 50 migranti adolescenti a tuffarsi in mare. È
strage.
Secondo il racconto dei testimoni il
trafficante avrebbe imposto ai migranti di tuffarsi in mare alla vista di una
barca delle autorità che si avvicinava.
AFRICA 9 AGOSTO 2017 22:19 di Davide Falcioni
Circa cinquanta migranti di nazionalità
etiope e somala – tutti adolescenti – sono stati deliberatamente annegati questa
mattina da uno scafista al largo della costa dello Yemen. A renderlo noto è
l'Oim, l'Organizzazione internazionale per la migrazione. Il trafficante
avrebbe costretto 120 giovani e giovanissimi a gettarsi in mare vedendo, vicino
alla costa, qualcuno che temeva fossero le autorità. A seguito di un normale
giro di perlustrazione, lo staff dell'Oim ha trovato i resti di 29 migranti
africani sepolti dai sopravvissuti sulla spiaggia, nella provincia yemenita di
Shabwa lungo il golfo di Aden. Gli operatori delle Nazioni Unite hanno anche
prestato soccorso a 27 ragazzi scampati alla strage che erano rimasti sulla
spiaggia, mentre altri superstiti erano fuggiti. I dispersi sarebbero 22.
"Erano tutti piuttosto giovani, l'età media era di circa 16 anni", ha
dichiarato la portavoce dell'Oim Olivia Headon che ha definito l'accaduto
"scioccante e disumano".
Laurent de Boeck, il capo della missione
Oim nello Yemen, ha affermato: "I sopravvissuti ci hanno detto che il
contrabbandiere è già tornato in Somalia per continuare la sua attività e
raccogliere altri migranti da portare nello Yemen seguendo la stessa strada. La
sofferenza dei migranti su questa rotta è enorme. Troppi i giovani pagano i
trafficanti con la falsa speranza di un futuro migliore ", ha concluso de
Boeck.
Le acque tra il Corno d'Africa e lo Yemen
sono una delle rotte più frequentate dai trafficanti di esseri umani nel
tentativo di entrare nei paesi del Golfo.
Da oltre due anni è in corso in Yemen un
conflitto che ha causato almeno 10mila vittime e 40mila feriti. Il paese è
bombardato dall'Arabia Saudita, nazione che in questi anni si è avvalsa delle
forniture militari occidentali. L'Italia, in tal senso, ha inviato decine di
carichi di bombe prodotte in Sardegna.
(Continua su:
https://www.fanpage.it/yemen-trafficante-costringe-50-migranti-adolescenti-a-tuffarsi-in-mare-e-strage/
- http://www.fanpage.it/).
5) Migranti, Msf, Save the Children e Sea
Eye sospendono i soccorsi nel Mediterraneo: troppi rischi
Medici senza frontiere, Save The Children
e Sea Eye sospendono temporaneamente le attività di ricerca e soccorso dei
migranti davanti alla Libia.
13 AGOSTO 2017 11:21 di Susanna Picone
Salvare i migranti nelle condizioni attuali è troppo pericoloso e per questo, almeno per il momento, Medici senza frontiere ci rinuncia e sospende le attività di ricerca e soccorso davanti alla Libia della propria nave, la Prudence. Lo ha comunicato la stessa ONG parlando di “rischio sicurezza legato alle minacce pronunciate pubblicamente dalla Guardia Costiera Libica contro le navi di ricerca e soccorso umanitarie impegnate in acque internazionali”. “Oggi abbiamo deciso a malincuore di sospendere temporaneamente le nostre missioni di salvataggio”, così anche l'ong Sea Eye. Il motivo, si spiega, è la mutata situazione di sicurezza nel Mediterraneo occidentale. “Proseguire il nostro lavoro di salvataggio – spiega l'ong tedesca – sarebbe irresponsabile nei confronti dei nostri equipaggi”. Dopo le prime due rinunce, anche Save the Children ha ufficializzato il ritiro dalle missioni nel Mediterraneo, annunciando di aver fermato "temporaneamente" la nave Vos Hestia, che ora si trova a Malta "in attesa di capire se ci sono le condizioni di sicurezza per riprendere le operazioni".
Salvare i migranti nelle condizioni attuali è troppo pericoloso e per questo, almeno per il momento, Medici senza frontiere ci rinuncia e sospende le attività di ricerca e soccorso davanti alla Libia della propria nave, la Prudence. Lo ha comunicato la stessa ONG parlando di “rischio sicurezza legato alle minacce pronunciate pubblicamente dalla Guardia Costiera Libica contro le navi di ricerca e soccorso umanitarie impegnate in acque internazionali”. “Oggi abbiamo deciso a malincuore di sospendere temporaneamente le nostre missioni di salvataggio”, così anche l'ong Sea Eye. Il motivo, si spiega, è la mutata situazione di sicurezza nel Mediterraneo occidentale. “Proseguire il nostro lavoro di salvataggio – spiega l'ong tedesca – sarebbe irresponsabile nei confronti dei nostri equipaggi”. Dopo le prime due rinunce, anche Save the Children ha ufficializzato il ritiro dalle missioni nel Mediterraneo, annunciando di aver fermato "temporaneamente" la nave Vos Hestia, che ora si trova a Malta "in attesa di capire se ci sono le condizioni di sicurezza per riprendere le operazioni".
Sos Mediterrenee definisce “pericolose” le uscite sui media delle autorità libiche. L'equipe medica di Msf continuerà a fornire supporto a bordo dell'Aquarius, la nave di Sos Mediterranee che attualmente naviga in acque internazionali davanti a Tripoli.
La decisione di Msf arriva dopo settimane
di polemiche sulla mancata firma del codice di condotta per le ONG stilato dal
Viminale ma adesso a mettere in crisi il lavoro delle ONG nel Mediterraneo
sarebbe appunto l'atteggiamento sempre più ostruzionistico nei loro confronti
da parte della Marina e della Guardia costiera libica. “Subito dopo l'annuncio
della Marina Libica di istituire una zona Sar – ha spiegato Msf – il Centro di
coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) di Roma, ci ha allertato di un
rischio sicurezza legato alle minacce pubbliche dalla Guardia Costiera libica”.
Inoltre, per Msf gli “ostacoli” che le autorità di Tripoli stanno ponendo con
la decisione di istituire una zona Sar che va ben oltre le acque territoriali
(97 miglia), interdetta a tutte le navi delle organizzazioni non governative,
crea un ulteriore problema all'attività di soccorso. Per Msf si tratta di una
serie di “restrizioni all'assistenza umanitaria” che, inevitabilmente,
“creeranno un gap legale nel Mediterraneo”. “L'anno scorso la guardia costiera
libica ha sparato 13 colpi contro di noi in una situazione molto più tranquilla
di quella attuale”, ha spiegato il presidente di Medici senza Frontiere, Loris
De Filippi. La ONG ha avvertito che “se queste dichiarazioni verranno
confermate e gli ordini attuati, vediamo due gravi conseguenze: ci saranno più
morti in mare e più persone intrappolate in Libia”.
(Continua su: https://www.fanpage.it/migranti-msf-sospende-le-attivita-di-soccorso-nel-mediterraneo-troppi-rischi/ -
http://www.fanpage.it/).
6) Esperta Onu contro il codice per le ONG: "Ci saranno più morti"
6) Esperta Onu contro il codice per le ONG: "Ci saranno più morti"
La denuncia di Agnes Callamard, relatrice
speciale dell'Onu
15/08/2017 17:38 CEST - Stefano Rellandini
/ Reuters
Il codice di condotta delle ONG
"potrebbe limitare il loro lavoro di salvataggio" provocando
"più' decessi". La "conseguente perdita di vite umane, essendo
prevedibile e prevenibile, costituirebbe una violazione degli obblighi dei
diritti umani in Italia". Così Agnes Callamard, relatrice speciale
dell'Onu sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie e arbitrarie. "Codice
e piano d'azione globale - aggiunge - suggeriscono che Italia, Commissione
europea e Stati membri Ue ritengono i rischi e le realtà di morti in mare il
prezzo da pagare per scoraggiare migranti e rifugiati".
Callamard sottolinea inoltre il rischio di
gravissimi abusi e violenze per i rifugiati e i migranti in Libia. "Fino a
quando i migranti e i rifugiati che transitano attraverso la Libia o vengono
ricondotti in Libia sono a rischio di violazioni dei diritti umani, tra cui
uccisioni arbitrarie, l'Italia deve fornire ricerca e soccorso nel
Mediterraneo, rispettare il divieto di respingimento e garantire che le ONG
possano contribuirvi pienamente", afferma. Inoltre, "la commissione
europea deve sostenere l'Italia, e gli Stati membri dell'Ue devono assumere le
loro responsabilità, incluse la ricezione e la ricollocazione dei rifugiati e
dei migranti", conclude la relatrice che ha chiesto chiarimenti da parte
dell'Ue, delle autorità italiane e delle autorità libiche.
(Continua su: http://www.huffingtonpost.it/2017/08/15/esperta-onu-contro-il-codice-della-ong-ci-saranno-piu-morti_a_23078211/ -
https://www.intopic.it/notizia/11919758).
Che ci fossero dei problemi nelle navi che
soccorrevano i profughi era una verità che è emersa a cura di un procuratore di
cui si è detto peste e corna, ma che poi si è dovuta accettare, perché
quello che ipotizzava non era una barzelletta, ma una realtà che subito molte
ONG hanno cercato di respingere a torto o a ragione. Insomma il profugo è diventato
una fonte di guadagno per molta gente prima, durante e dopo il traghettamento.
Poi finalmente lo stato ha aperto gli
occhi quasi sempre abbastanza chiusi e ha emanato una legge per cui anche le
ONG dovevano sottostare a modalità particolari ed ognuno aveva la sua da dire
pro e contro, come sempre. Fatto sta che sembrerebbero diminuiti gli arrivi, la
Libia ha ridimensionato il suo interessamento al problema, anche per le
incentivazioni che arrivano, e allora ci sono state altre riunioni di capi di
governo che approvano, disapprovano, nella speranza da parte dei cittadini che
si arrivi a una soluzione che salvi capra e cavoli, come si suol dire.
Intanto in quei paesi di origine del
Centro Africa, Siria, ecc. le donne continuano a farsi esplodere e i morti sono
molto più numerosi di quelli di Barcellona di qualche tempo fa (sedici per l'esattezza,
perché non si era contato il conducente legittimo della macchina bianca ucciso
per rubare la medesima macchina con cui uccidere i civili poi sulla Rambla).
Come se non bastasse anche la natura fa i
suoi danni: in Sierra Leone crolla la parete di una montagna e il fango fa i
suoi morti: circa 1000 (500 volte i morti di Barcellona), ma su di loro da
parte dei governi non ho visto, né sentito discorsi ufficiali o invii di aiuti
se non da parte delle solite associazioni come Medecins Sans Frontieres ed
altri che accorrono dove c'è bisogno senza trombe o altri strumenti mediatici
che mettano in risalto l'aiuto che si fornirà.
Grazie ai volontari che senza pubblicità
sono accorsi e si danno da fare a loro rischio e pericolo: aiutiamoli perché
meritano la nostra attenzione.
7) Yemen, rapporto
Onu: più della metà dei bambini morti, uccisi da bombe saudite
È quanto ha
affermato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres
di Milena Castigli - www. Interris.it ) Ago 18,
2017
La coalizione araba a guida saudita è
responsabile di oltre la metà dei bambini uccisi o feriti lo scorso anno, nel
contesto del conflitto in Yemen. È quanto ha affermato il segretario generale
Onu Antonio Guterres, illustrando la bozza di un rapporto elaborato di recente
da un gruppo di esperi delle Nazioni Unite.
Il documento Onu Il documento, diffuso
ieri mercoledì 17 agosto dalla Associated Press (AP), sottolinea che per un
totale di 1340 vittime minori di età registrate nel 2016 in Yemen, almeno 683 (pari al 51%) sono il risultato
di raid aerei sferrati dai caccia di Riyadh. Inoltre, almeno tre quarti degli attacchi a scuole e
ospedali – 38 su 52 – sono opera della coalizione araba. Secondo quanto riferisce
il magazine Foreign Policy la nuova rappresentante speciale Onu per i bambini e
i conflitti armati Virgina Gamba intende inserire la coalizione araba a guida saudita attiva in Yemen nella lista di Paesi che uccidono o feriscono bambini. Oggi Gutierres dovrebbe incontrare la Gamba e
discutere il rapporto che accusa i sauditi. Tuttavia, la versione finale (e
ufficiale) è ancora oggetto di studio e non verrà pubblicata prima di un mese.
La replica Immediata la replica della
missione saudita all’Onu, che respinge le accuse e ricorda “lo scambio positivo di
informazioni” con le Nazioni Unite in
merito alle attività della coalizione in Yemen. Dal gennaio 2015 la nazione del Golfo è
teatro di un sanguinoso conflitto interno che
vede opposte la leadership sunnita dell’ex presidente Abedrabbo Mansour Hadi,
sostenuta da Riyadh, e i ribelli sciiti Houthi, vicini all’Iran e agli
Hezbollah libanesi. Inoltre, nel Paese arabo è oggi in atto anche la peggiore
epidemia di colera al mondo, con un numero complessivo di casi che secondo
fonti dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha raggiunto il mezzo
milione.
(https://www.intopic.it/notizia/11920522/?r=WAGJBxroaZBEQ&utm_source=alert&utm_medium=email&utm_campaign=alpha - Fonte:
Asia News).
Anche in questa relazione ci sono accuse
pesanti e difese ad oltranza, ma la realtà non si può inventare per produrre
notizie fake o hoak ad oltranza se 1300
bambini sono stati uccisi dai bombardamenti di aerei particolari e di una
nazione. Se poi la coalizione araba ha attaccato scuole e ospedali al punto da
far fuggire medici, infermieri e i pazienti stessi, non si possono cancellare
accuse contro l'umanità come queste: i bambini non si sono uccisi da soli, ma
sono stati assassinati con raid aerei ben precisi e mirati su quelle unità di
soccorso. Poi le scuse si trovano, il numero di morti potrà oscillare, ma anche
un solo bambino è una vigliaccata che tutti insieme pagheremo.
8) Migranti, “barconi fermati in Libia da
un gruppo armato capeggiato da un ex boss”
La rivelazione di alcuni testimoni locali raccolta dall’agenzia di stampa Reuters. Il gruppo avrebbe preso anche il controllo di un centro di detenzione per migranti con l’assenso del governo di Tripoli.
CRONACA ITALIANA 22 AGOSTO 2017 19:24 di Antonio Palma
Da alcune settimane in Libia sarebbe all'opera un nuovo gruppo armato e composto da centina di uomini che si starebbe impegnando con tutti i mezzi a bloccare i barconi dei migranti in partenza verso le coste italiane. A rivelarlo sono alcuni testimoni locali ascoltati dall'agenzia di stampa Reuters. Secondo il loro racconto, ci sarebbe proprio questo gruppo paramilitare, appoggiato dal Governo di Tripoli e denominato Brigata 48, dietro al netto calo di arrivi di migranti registrato in Italia nei mesi di luglio e agosto, oltre all’intensificarsi dell’attività da parte della Guardia Costiera libico dopo l'accordo con l'Italia.
Sempre secondo le stesse testimonianze, il gruppo sarebbe formato sia da civili, sia da poliziotti e membri dell’esercito, probabilmente assoldati come contractor, e sarebbe guidato da un non meglio precisato ex boss di una organizzazione criminale locale. Il gruppo opererebbe sul territorio con il benestare delle autorità di polizia libiche controllando le spiagge per impedire le partenze delle imbarcazioni verso le coste italiane ma avrebbe preso anche il controllo di un centro di detenzione precedentemente in mano ai trafficanti nella città di Sabratha, a ovest di Tripoli. Secondo le rivelazioni, la struttura sarebbe usata per rinchiudere i migranti bloccati che dunque sarebbero detenuti senza alcuna ufficialità.
La notizia del blocco delle partenze dalla città, precedentemente ritenuta uno dei punti principali delle partenze dei barconi carichi di migranti verso la Penisola, viene confermata anche da Flavio di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione Internazionale per le migrazioni. "I migranti arrivati in Sicilia in questi giorni hanno spiegato che è molto difficile partire da Sabratha. Ci sono persone che fermano le barche prima che prendano il largo", ha spiegato il rappresentante dell'Oim. Secondo le fonti locali, vista l'intesa attività potrebbe essere proprio il governo di Tripoli a finanziare e supportare il gruppo armato per rispettare il patto con l'Italia per il contrasto all’immigrazione.
(Continua su: http://www.fanpage.it/migranti-barconi-fermati-in-libia-da-un-gruppo-armato-capeggiato-da-un-ex-boss/ - http://www.fanpage.it/).
9a) Secondo l'UNICEF in Nigeria 83 bambini
sono stati usati come bombe umane
“L’Unicef è estremamente preoccupato
dall’agghiacciante aumento del crudele e calcolato utilizzo di bambini,
soprattutto di ragazze, come ‘bombe umane’ nel nordest della Nigeria”. E’
quanto afferma in una nota dell’organizzazione. “Negli ultimi anni, i bambini
sono stati ripetutamente usati in questo modo e – spiegano – fino ad ora
quest’anno il loro numero è già quattro volte maggiore rispetto al totale
dell’ultimo anno. Dal 1 gennaio 2017, sono stati usati 83 bambini come “bombe
umane”: 55 ragazze, il più delle volte sotto i 15 anni, e 27 ragazzi, fra cui
un bambino che è stato legato a una ragazza. Questo utilizzo di bambini è
un’atrocità. I bambini usati come “bombe umane” sono, prima di tutto, vittime,
non colpevoli. Il gruppo armato comunemente noto come Boko Haram ha talvolta,
ma non sempre, rivendicato la responsabilità di questi attacchi, che colpiscono
la popolazione civile”.
Ci sono 450mila minori a rischio
malnutrizione
L’utilizzo di bambini – spiega l’Unicef –
in questi attacchi ha un ulteriore impatto: crea sospetti e paure nei confronti
di quelli che sono stati rilasciati, salvati o fuggiti da Boko Haram. Come
risultato, molti bambini che sono riusciti a scappare dalla prigionia devono
affrontare un rifiuto nel momento in cui cercano di reintegrarsi nelle loro
comunità, aggravando le loro sofferenze. Tutto ciò sta avvenendo in un contesto
di sfollamenti di massa e di una crisi di malnutrizione – una combinazione che
è anche letale per i bambini. Ci sono 1,7 milioni di sfollati a causa
dell’insurrezione nel nord-est del paese, l’85% dei quali nello Stato del
Borno, dove è avvenuta la maggior parte di questi attacchi. Il nord-est della
Nigeria è uno fra i quattro paesi e regioni su cui grava la minaccia della
carestia: quest’anno raggiungono i 450.000 i bambini a rischio di malnutrizione
acuta grave. L’Unicef sta offrendo supporto psicosociale per i bambini che sono
stati prigionieri di Boko Haram e sta inoltre lavorando con le famiglie e le
comunità per favorire che i bambini vengano accettati al loro ritorno. Questo
lavoro include un supporto per il reinserimento sociale ed economico ai bambini
e alle loro famiglie. L’Unicef supporta inoltre delle attività di
riconciliazione nel nord-est della Nigeria, portate avanti da rispettati leader
delle comunità e religiosi, fra cui donne influenti, per aiutare a promuovere
la tolleranza, l’accettazione e il reinserimento.
(Continua su:
http://apocalisselaica.net/secondo-lunicef-in-nigeria-83-bambini-sono-stati-usati-come-bombe-umane/
- Articolo originale Agi Agenzia Italia)
9b) Nigeria, aumentano i bambini usati come bombe umane: la denuncia dell’Unicef
L’Unicef ha pubblicato un resoconto della
situazione dei minori in Nigeria: tra rischio malnutrizione e sfollati il
problema più grave è rappresentato dai minori utilizzati come bombe umane:
molti di questi attentati sono rivendicati da Boko Haram.
ESTERI 23 AGOSTO 2017 15:08 di
Annalisa Cangemi
Bimbi utilizzati come bombe umane. È la
denuncia dell'Unicef, che ha raccontato come siano aumentati esponenzialmente i
piccoli vittime di questa barbarie in Nigeria: "L'Unicef è
estremamente preoccupato dall'agghiacciante aumento del crudele e calcolato
utilizzo di bambini, soprattutto di ragazze, come bombe umane nel nordest della
Nigeria". Il numero è cresciuto di 4 volte rispetto all'anno scorso. Nella
nota dell'organizzazione si legge che dal 1 gennaio 2017 sono stati usati ben
83 bambini come bombe umane: 55 ragazze, il più delle volte sotto i 15 anni, e
27 ragazzi, fra cui un bambino che è stato legato a una ragazza. A volte gli
attentati ai danni dei civili sono stati rivendicati dal gruppo di Boko Haram.
Un bollettino terrificante, che ha
conseguenze catastrofiche anche per quei bambini che riescono a evitare questa
fine. Molti di coloro che riescono a fuggire dalla prigionia di Boko Haram,
perché magari scappano o vengono rilasciati, vengono poi tenuti alla larga dal
resto della popolazione, e visti con sospetto. Su questo sta cercando di intervenire
l'Unicef, offrendo supporto sociale ed economico alle famiglie colpite,
cercando di lavorare attivamente per accompagnare il ritorno di questi minori
nelle comunità. Non ottengono le cure di cui necessitano perché fanno paura, e
rimangono così marchiati a vita. E ciò avviene in un momento in cui il Paese
sta attraversando una spaventosa crisi di malnutrizione: sarebbero 450.000
i bambini a rischio di malnutrizione acuta grave. A questo si aggiungono gli
sfollati, dopo l'insurrezione del nord-est del Paese, 1, 7 milioni, di cui
l'85% è dello Stato del Borno, dove avvengono la maggior parte di questi
attacchi in cui vengono sacrificati i piccoli.
(Continua su: https://www.fanpage.it/nigeria-aumentano-i-bambini-usati-come-bombe-umane-la-denuncia-dell-unicef/ -
http://www.fanpage.it/).
Chi paga sono sempre i bambini, i più piccoli, i più indifesi: coloro che si aspettano che gli adulti li aiutino, essendo più grandi e più forti di loro. Malauguratamente imparano poi a proprie spese che gli adulti, purtroppo anche i loro genitori, possono essere i loro carnefici per il proprio interesse ad avere persone che siano al loro servizio, molto più inconsciamente che consciamente; questi ultimi possono essere anche drogati per credere alle loro panzane mortali. Prevale anche qua la superstizione che marchia chi ritorna da esperienze di asservimento a Boko Haram e allora, sempre i bambini, non sono più accettati in famiglia e devono sopravvivere nella strada come possono, anche per la fame che primeggia e le malattie come il colera, che sta mietendo la sua parte di vittime.
10) Migranti, i quattro leader Ue a
Parigi: “Sfida che riguarda tutti”
di Edith Driscoll - Ago 28, 2017
Una sfida che riguarda tutti e che nessuno
può risolvere da solo. Tutti d’accordo, i leader presenti al vertice di Parigi
voluto da Macron sul tema dell’immigrazione: quella delle traversate dei
barconi di migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale è una problematica
globale, che richiede uno sforzo coeso e comune, una linea d’azione da
intraprendere insieme e in direzione univoca. A lodare l’applicazione italiana
in merito alla questione, è stato per primo lo stesso presidente francese che,
parlando in conferenza, ha spiegato che “dobbiamo agire tutti insieme, dai
Paesi d’origine fino all’Europa, passando per i Paesi di transito per condurre
un’azione efficace” e che “oggi nasce una squadra per tradurre in atti le
parole”.
Migranti, Gentiloni e Merkel: “Necessari
passi avanti”
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il
premier italiano, Paolo Gentiloni: “Credo che il messaggio che viene
dall’incontro di oggi è che mettendo insieme le forze e dandoci una strategia
si possono ottenere dei risultati: rendere più governabile il flusso delle
grandi migrazioni e lavorare allo sviluppo dell’Africa. Oggi abbiamo fatto un
passo avanti in questa direzione”. Secondo il presidente del Consiglio,
l’accordo sulla linea d’azione comune raggiunto oggi, “è importante per l’Italia”,
così come è fondamentale “per le azioni di collaborazione con le autorità
libiche, di cui ringrazio Sarraj”. Italia e Libia che, secondo la cancelliera
tedesca Angela Merkel, “sono elemento fondamentale come interfaccia”,
specificando che, nel Paese africano, “la situazione deve migliorare… Daremo
sostegno concreto in modo tale che chi vive in situazioni inaccettabili possano
avere un futuro accettabile”. Anche la cancelliera tedesca, ha ribadito come ci
sia “la necessità di trovare un giusto approccio nella gestione dei flussi,
dobbiamo fare dei passi avanti”.
Rajoy: “Presto nuovo vertice”
Sullo stesso tasto toccato da Macron, ha
insistito anche il presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy: “La
questione migratoria “non si risolve da un giorno all’altro, ma bisogna
cominciare a fare passi nella direzione giusta, generando sviluppo” nei Paesi
di origine, “eliminando le mafie” dei trafficanti, e controllare le “nostre
frontiere e le nostre coste”. Anche Rajoy non ha mancato di porgere il proprio
ringraziamento all’Italia per la sua politica di salvataggio e accoglienza nel
Mediterraneo, annunciando a breve un nuovo vertice “come quello odierno” il
quale, secondo il presidente, si terrà in autunno per “verificare l’attuazione
delle decisioni assunte oggi”.
(Continua su:
http://www.interris.it/2017/08/28/126601/cronache/mondo/migranti-i-quattro-leader-ue-a-parigi-sfida-che-riguarda-tutti.html
fonti).
11) Mille morti onda fango Sierra Leone
14/8 - Centinaia i bambini morti a Freetown
FREETOWN, 27 AGO - Ha superato il numero
di mille morti, fra cui centinaia di bambini, il bilancio dei morti accertati
dell'ondata di fango e le alluvioni che hanno travolto interi quartieri della
capitale della Sierra leone il 14 agosto. Lo fa sapere il ministero per le
emergenze del Paese africano. Sotto l'azione di una pioggia intensa e
incessante, la notte fra il 13 e 14 agosto, quando la gente dormiva, un intero
fianco della collina Sugar Loaf (in italiano “pan di zucchero”) è smottato in
una valanga di fango, travolgendo centinaia di abitazioni e baracche che si
trovavano sulla sua strada e riversandosi sul sottostante quartiere di Regent,
trasformandosi, insieme all'acqua piovana, in impetuosi torrenti di acqua
fangosa di diversi metri di profondità. Dal giorno del disastro, team
dell'Unicef hanno risposto alle esigenze del grande numero di bambini e famiglie
colpite, in particolare fornendo acqua potabile e igiene e distribuendo aiuti,
tra cui medicinali, tende e guanti.
(Continua su: http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/mondo/923482/mille-morti-onda-fango-sierra-leone-14-8.html).
A questa notizia, comparsa a disturbare le
ferie di molti, si è data relativa importanza, non come evento più o meno
prevedibile sul piano meteorologico, ma parchè ha fatto sparire un migliaio di
persone come noi, tra cui i soliti e ormai scontati bambini che non hanno avuto
l'aiuto necessario per mettersi in salvo: sono esseri umani sottratti al futuro
dell'umanità e alla cultura futura, che diventa una statistica negativa per il
mondo; non per i VIP che sono al sicuro, ma per la gente comune e che non vive
certo bene.
Ricordiamoci di loro e non dimentichiamoli
come fanno i media, che in breve tempo hanno considerato la notizia non più
attuale e quindi meritevole di finire nel dimenticatoio, salvo che per le
associazioni che sono arrivate sul luogo e che fanno quello che possono.
Aiutiamoli! Sono nostri fratelli: anche se
sono vissuti lontano da noi, non per questo non erano esseri umani, proprio come
noi e i nostri figli e nipoti.
12) Oltre 180 milioni di persone vivono
senza acqua potabile nei paesi colpiti da conflitti.
Oltre 180 milioni di persone nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile nei paesi colpiti da conflitti, violenze e instabilità, secondo l’allarme lanciato dall’Unicef. Particolarmente complicate le situazioni in Siria, Yemen, Sud Sudan e Nigeria.
ESTERI 29 AGOSTO 2017 10:07 di Stefano Rizzuti
Oltre 180 milioni di persone nel mondo non
hanno accesso all’acqua potabile nei paesi colpiti da conflitti, violenze e
instabilità. I dati pubblicati dall’Unicef forniscono un quadro critico: su 484
milioni di persone che, secondo le stime, vivevano in condizioni di fragilità
nel 2015, 183 milioni non avevano servizi per l’acqua potabile. Più di una
persona su tre. L’allarme arriva dall’Unicef in occasione della settimana
mondiale dell’acqua (27 agosto-1 settembre), fornendo un’analisi elaborata
insieme all’Oms.
Nello specifico, il rapporto dell’Unicef è focalizzato su alcuni paesi come la Siria, la Nigeria e lo Yemen, dove la situazione di fragilità è particolarmente elevata. In Siria, dove è in corso un conflitto che va avanti ormai da sette anni, circa 15 milioni di persone hanno bisogno di acqua sicura. Tra queste, si stimano ci siano anche 6, 4 milioni di bambini. Nel paese martoriato dalla guerra, inoltre, l’acqua è spesso stata utilizzata come una vera e propria arma: solo nel 2016, ci sono stati almeno 30 tagli intenzionali alle forniture idriche in città come Aleppo, Damasco, Hama, Raqqa e Dara.
Nel nord-est della Nigeria il 75% delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie è stato danneggiato o distrutto, lasciando così 3, 6 milioni di persone senza i servizi idrici di base. Nel Sud Sudan circa la metà dei punti d’acqua del paese è stata danneggiata o completamente distrutta. Nei paesi maggiormente minacciati dalla carestia, come Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen, si stima che circa 30 milioni di persone, tra cui quasi 15 milioni di bambini, hanno urgente bisogno di acqua sicura.
In Yemen le reti per il rifornimento idrico che servono le maggiori città sono a rischio imminente di collasso a causa dei danni e del degrado causati dalla guerra. Nel paese circa 15 milioni di persone sono state isolate dall’accesso regolare ai servizi idrici e igienico-sanitari.
“L’accesso dei bambini ad acqua e servizi igienico-sanitari sicuri, soprattutto in contesti di conflitto ed emergenza, è un diritto, non un privilegio”, ha dichiarato Sanjay Wijesekera, responsabile dell’Unicef per l’acqua e i servizi igienico-sanitari. “In paesi colpiti da violenza, sfollamento, conflitti e instabilità, il mezzo di sopravvivenza più basilare per i bambini – l’acqua – deve essere una priorità. In fin troppe occasioni i sistemi idrici e igienico-sanitari sono stati attaccati, danneggiati o lasciati andare in rovina fino al punto di collasso. Quando i bambini non hanno acqua sicura da bere, e quando i sistemi sanitari sono lasciati in rovina, la malnutrizione e malattie potenzialmente letali come il colera seguono irrimediabilmente”, ha continuato Wijesekera.
Il riferimento è per esempio allo Yemen, dove i bambini rappresentano il 53% dell’oltre mezzo milione di casi sospetti di colera e di diarrea acquosa acuta registrati finora. In Somalia è in corsa la più grande epidemia di colera degli ultimi cinque anni, con circa 77mila casi sospetti. In Sud Sudan, l’epidemia di colera è la più grave mai vissuta dal paese, con oltre 19mila casi da giugno del 2016.
(Continua su: http://www.fanpage.it/oltre-180-milioni-di-persone-vivono-senza-acqua-potabile-nei-paesi-colpiti-da-conflitti/ - http://www.fanpage.it/).
13a) Corea del Nord, dall'Onu dura
condanna per il lancio del missile (Tgcom)
Tgcom24 Mondo - 30 AGOSTO 201707:44
Il Consiglio di Sicurezza, convocato
dʼurgenza nella notte, ha chiesto a tutti gli Stati membri di attuare
"pienamente, in modo rigoroso e veloce" le sanzioni imposte dalle
Nazioni Unite
Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu
"condanna fortemente" il nuovo lancio di un missile da parte della
Corea del Nord e chiede che tutti gli Stati membri "attuino pienamente, in
modo rigoroso e veloce" le sanzioni imposte dalle Nazioni Unite.
L'assemblea non ha tuttavia minacciato nuove sanzioni al Paese asiatico. Nella
dichiarazione del Consiglio si chiede al regime di Kim Jong-un di abbandonare i
programmi nucleari e di non effettuare altri test.
Già prima della riunione d'urgenza del
Consiglio di Sicurezza dell'Onu, si erano moltiplicate le condanne
internazionali (tra cui quelle del segretario delle Nazioni Unite Antonio
Guterres e del ministro degli Esteri Angelino Alfano) e gli "inviti alla
moderazione" lanciati da Russia e Cina.
"E' chiaro a tutti che l'opzione
delle sanzioni alla Corea del Nord si è ormai esaurita", ha detto il vice
ministro degli Esteri russo Serghei Ryabkov, aggiungendo: "Maggiori
sanzioni non risolveranno il problema, l'Onu deve passare una risoluzione che
dica chiaramente no ad una soluzione militare e a sanzioni unilaterali fuori da
quelle approvate dal Consiglio di Sicurezza".
La Cina, alleato storico di Pyongyang, ha
criticato il Nord e ha annunciato che sosterrà "completamente e per
intero" le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. "Le sanzioni
uniaterali o quelle adottate seguendo le leggi nazionali non sono in linea con
il diritto internazionale", ha affermato il ministro degli Esteri cinese
Wang Yi.
Pechino "si oppone" alle mosse
del Nord contro le risoluzioni dell'Onu, ha inoltre affermato Hua Chunying,
portavoce del ministero degli Esteri, rilevando il "momento critico"
della situazione "altamente sensibile" per la quale tutti dovrebbero
creare le condizioni per la ripresa del dialogo e i negoziati".
Quel missile è "una seria minaccia
alla pace e alla sicurezza internazionale", ha affermato dal canto suo
l'Alto rappresentante Ue Federica Mogherini. "L'unità della comunità
internazionale in questa sfida è essenziale. L'Ue valuterà ulteriori risposte
adeguate, in stretta consultazione con i partner chiave, ed in linea con le
decisioni del Consiglio di Sicurezza", ha proseguito.
La Corea del Sud risponde con le bombe -
La risposta della Corea del Sud al "primo missile per testata
atomica" di Pyongyang, che sorvolando il Giappone è finito nel Pacifico
settentrionale, non si è fatta in effetti attendere: quattro caccia F-15 hanno
sganciato otto bombe MK-84 usate per demolire i bunker sotterranei e del peso
di una tonnellata ciascuna al Pilseung Range, campo militare dall'emblematico
nome "vittoria sicura" nella provincia di Gangwon, vicino al confine
con il Nord.
La prova di forza indirizzata oltre il
38esimo parallelo è stata tenuta allo scopo di affinare le capacità
d'annientamento totale della "leadership nemica". "Le nostre
forze aeree spazzeranno via la leadership del regime nordcoreano con la forte
capacità di attacco in caso sia a rischio con armi nucleari e missili la
sicurezza del nostro popolo e dell'alleanza Usa-Corea del Sud", ha
assicurato il maggiore Lee Kuk-no, a capo delle manovre sudcoreane.
Ambasciatrice Usa: "Regime capisca il
rischio che corre" - "Ancora una volta i membri del Consiglio di
Sicurezza hanno parlato all'unisono nel condannare la Corea del Nord", ha
affermato l'ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro, Nikki Haley, dopo la
denuncia del lancio del missile da parte delle Nazioni Unite. "E' il momento
che il regime di Pyongyang capisca il rischio che sta correndo con le sue
azioni", ha dichiarato Haley.
Da parte sua il presidente americano
Donald Trump ha più volte ribadito che "tutte le opzioni sono sul
tavolo" per rispondere alle continue provocazioni di Kim Jing-un, incluse
quelle militari. In un colloquio telefonico con il premier nipponico Shinzo Abe,
il tycoon ha convenuto sulla necessità di mantenere forte il pressing su
Pyongyang in assenza dei requisiti per l'avvio di un dialogo, dell'ennesima
violazione delle risoluzioni dell'Onu e della presenza di una minaccia
"grave e crescente". "Il mondo ha ricevuto l'ennesimo messaggio
della Corea del Nord forte e chiaro: questo regime ha segnalato il disprezzo
per i paesi vicini, per tutti i membri dell'Onu e per gli standard minimi di
comportamento accettabile a livello internazionale", afferma una nota della
Casa Bianca.
(Continua su: http://www.intopic.it/notizia/11972795/?r=WAGJBxroaZBEQ&utm_source=alert&utm_medium=email&utm_campaign=alpha).
13b) Sud Corea simula attacco contro le
basi di Kim. Seul: “Stanno per lanciare nuovo missile”
Seul ha effettuato una esercitazione con
missili balistici in risposta al test atomico effettuato da Pyongyang. Oggi
pomeriggio riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Trump:
“Stop agli affari con chi aiuta la Corea del Nord”.
ASIA 4 SETTEMBRE 2017 07:23 di
Biagio Chiariello
Hanno reagito tutti con fermezza e serietà
all’ennesimo test atomico della Corea del Nord, un lancio che ha provocato
un terremoto di magnitudo 6.3 nel nordest del Paese e successivamente
un'altra scossa di magnitudo 4.6: il sisma artificiale più potente di sempre.
"Vedremo", è stata la risposta del presidente Donald Trump a chi
gli chiedeva le possibilità di un attacco. "Gli Usa stanno considerano
anche la possibilità di mettere fine ai rapporti commerciali con
qualsiasi Paese che fa affari con la Corea del Nord", ha quindi
twittato. Ma la reazione più veemente è stata però quella dei ‘cugini’ del Sud.
Le forze armate di Seul hanno infatti condotto un'esercitazione simulando
un lancio missilistico contro un sito nucleare nordcoreano, con l'utilizzo di
caccia F15 e di un missile balistico.
Lo riferisce l'agenzia Yonhap online.
Nell'esercitazione è stato utilizzato il missile Hyunmoo-2A e missili a lungo
raggio aria-terra, che secondo il comunicato dello stato maggiore "hanno
tutti accuratamente raggiunto i loro obiettivi" Avvertimento che segue le
parole del segretario alla Difesa americano James Mattis: qualsiasi minaccia
agli Stati Uniti o ai suoi alleati incontrerà una "massiccia risposta
militare. Una risposta efficace e travolgente". "Kim ascolti il
Consiglio di Sicurezza, non siamo alla ricerca del totale annientamento"
del paese ma gli Stati Uniti "hanno molte opzioni per farlo".
Peraltro la Corea del Sud afferma di
aver evidenziato "segnali" relativi alla preparazione di un lancio di
un altro missile balistico da parte della Corea del Nord. Lo riporta l'agenzia
Yonhap. Seul evidenzia che potrebbe trattarsi di un razzo ICBM, cioè un
vettore intercontinentale. "Abbiamo continuato a vedere segnali di
possibili lanci di missili balistici. Prevediamo anche che la Corea de Nord
possa lanciare un missile balistico intercontinentale", ha dichiarato un
funzionario del Ministero sud-coreano, Chang Kyung-soo. Sarebbe il terzo Icbm a
essere lanciato da Pyongyang dopo i due test missilistici del 4 e del 29 luglio
scorsi.
Consiglio di Sicurezza dell’Onu che si
riunisce oggi (alle 16 italiane): Stati Uniti, Giappone, Francia, Regno Unito e
la stessa Corea del Sud discuteranno delle contromisure alla bomba H, 5
volte più potente della bomba di Nagasaki che il 9 agosto 1945, mise in
ginocchio il Giappone sancendo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Da parte
sua l’Italia ha fatto sapere di “condividere, insieme alla Germania, la
posizione della Francia sulla necessità di una reazione internazionale forte di
fronte al potenziale ulteriore sviluppo del programma nucleare
nordcoreano". E' quanto emerso dai colloqui telefonici di Emmanuel Macron
con Paolo Gentiloni e Angela Merkel.
Gli Stati Uniti sono pronti ad utilizzare
il loro dispositivo nucleare nel caso in cui Kim continui a minacciarli o a
minacciare i loro alleati, ha dichiarato la Casa Bianca. Dopo il test
nucleare di ieri, Trump ha parlato al telefono con il premier giapponese Shinzo
Abe: "I due leader – si legge in un comunicato – hanno confermato
l'indissolubile legame reciproco in materia di difesa"
(Continua su: https://www.fanpage.it/sud-corea-simula-attacco-contro-le-basi-di-kim-jung-un-oggi-consiglio-sicurezza-onu/ - http://www.fanpage.it/).
14) Istruzione, Unicef: nel mondo in 10
anni quasi nessun progresso (Greenreport)
135 milioni di bambini e ragazzi poveri
continuano a non andare scuola – 07/09/2017
Secondo l’Unicef, «Negli ultimi 10 anni la
percentuale di bambini e giovani tra i 6 e i 15 anni che non vanno a scuola è
diminuita: oggi l’11,5 % dei bambini in età scolare – pari a 123 milioni – non
frequenta la scuola, nel 2007 erano il 12,8% – ovvero 135 milioni. I bambini
che vivono nei paesi più poveri del mondo e nelle zone di conflitto sono
colpiti in maniera sproporzionata».
Dei 123 milioni di bambini che non
frequentano le scuole, ben il 40% vive nei Paesi meno sviluppati e il 20% in
zone dove ci sono guerre e conflitti. «Le guerre continuano a minacciare – e a
invertire – i progressi fatti nel settore dell’istruzione – dice l’Unicef – I
conflitti in Iraq e Siria si sono tradotti in altri 3,4 milioni di bambini che
non seguono percorsi scolastici, portando il numero dei bambini fuori dalle
scuole in Medio Oriente e in Nord Africa ai livelli del 2007 con circa 16
milioni di bambini».
Ma il record dei bambini destinati a
restare analfabeti (e quindi candidati alla povertà) è nell’Africa subsahariana
e nell’Asia del sud, dove vive il 75% dei bambini in età da scuola primaria e
secondaria inferiore che non frequentano la scuola, in aree dove ci sono alti
livelli di povertà, rapido aumento della popolazione e continue emergenze
ambientali, sociali e politiche.
Ma le cose non vanno male dappertutto;
l’Unicef sottolinea che «Alcuni progressi però sono stati fatti. L’Etiopia e la
Nigeria, che sono tra i Paesi più poveri del mondo, negli ultimi 10 anni hanno
fatto i più grandi progressi nel tasso di iscrizione a scuola dei bambini in
età da scuola primaria con un aumento, rispettivamente, di oltre il 15% e di
circa il 19%». L’agenzia dell’Onu che si occupa di proteggere l’infanzia
evidenzia però che «I diffusi livelli di povertà, i conflitti protratti nel
tempo e le emergenze umanitarie complesse hanno causato l’arresto di questo
tasso, che necessita di maggiori investimenti per rispondere alle cause che
tengono i bambini vulnerabili fuori dalle scuole».
Jo Bourne, Responsabile Unicef per
l’Istruzione, aggiunge: «Gli investimenti mirati a far crescere il numero di
scuole e insegnanti per far fronte alla crescita della popolazione non sono
sufficienti. Questo approccio tradizionale non riporterà i bambini più
vulnerabili a scuola – e non li aiuterà a sviluppare il proprio pieno
potenziale – se continueranno ad essere intrappolati in povertà, deprivazione e
insicurezza, I governi e la comunità globale devono focalizzare i loro
investimenti sull’eliminazione di fattori che in primo luogo non consentono ai
bambini di andare a scuola, dovrebbero inoltre rendere le scuole sicure e
migliorare insegnamento e apprendimento».
Invece, nonostante il mantra
“aiutiamoli casa loro”, nei Pesi poveri e/o in guerra arrivano abbondanti
armi pesanti e leggere occidentali, russe e cinesi ma non i fondi
per l’istruzione e le scuole vengono bombardate – come in Siria, nello
Yemen o in Sud Sudan – non costruite. La mancanza di finanziamenti
per ricostruire ed affrontare emergenze sta impedendo ai bambini che vivono in
situazioni di conflitto di andare scuola.
L’Unicef ricorda che «In media, meno del
2,7% degli appelli umanitari a livello globale sono dedicati all’istruzione.
Nei primi 6 mesi del 2017, l’Unicef ha ricevuto soltanto il 12% dei fondi
richiesti per garantire istruzione ai bambini che vivono in situazioni di
crisi. Sono necessari più fondi per rispondere al numero crescente e alla
complessità delle crisi e per dare ai bambini la stabilità e le opportunità di
cui hanno bisogno».
Bourne conclude: «Imparare garantisce ai
bambini colpiti dalle emergenze un aiuto nel breve periodo, e nel lungo periodo
rappresenta un investimento cruciale per lo sviluppo delle loro società. Ma gli
investimenti nell’istruzione non rispondono alla realtà di un mondo instabile.
Per affrontare questo problema, dobbiamo assicurare finanziamenti maggiori e
prevedibili per l’istruzione nelle emergenze imprevedibili Per riuscirci, è
necessario che ci siano maggiori fondi per l’istruzione e meglio pianificati
durante le emergenze».
(Continua su: http://www.intopic.it/notizia/12006983/?r=WAGJBxroaZBEQ&utm_source=alert&utm_medium=email&utm_campaign=alpha).
15) Nigeria: rapito e ucciso un sacerdote
5 settembre 2017 - Redazione
Un sacerdote nigeriano, p. Cyriacus
Onunkwo, è stato rapito e ucciso nello Stato di Imo, nel sud della Nigeria. Ne
dà notizia l’agenzia Fides. Secondo la polizia, nel tardo pomeriggio del 1°
settembre l’auto di p. Onunkwo era stata bloccata nei pressi del Banana
Junction, ad Amaifeke, da alcuni uomini armati che lo hanno rapito. Il
sacerdote, che svolgeva il suo servizio a Orlu, si stava recando nel suo
villaggio natale, Osina, per partecipare al funerale del padre, morto il 28
agosto. Il corpo del sacerdote è stato rinvenuto il 2 settembre nei pressi del
villaggio di Omuma. La polizia afferma che non presenta ferite di armi da fuoco
o da taglio e si presume che p. Onunkwo sia stato strangolato. “Stiamo
lavorando su tutti gli indizi raccolti. Per ora, è un chiaro caso di rapimento
e omicidio. Se fosse stato un semplice rapimento, i sequestratori avrebbero
chiamato i familiari della vittima e avrebbero chiesto un riscatto” afferma la
polizia.
Per meglio illustrare lo squallore che
caratterizza le storie delle popolazioni in fuga dalla guerra, riporto una
notizia di aprile di quest’anno:
16) Abu, parla il trafficante di organi
umani: “Ho venduto occhi e reni di 30 rifugiati siriani”
Abu Jaafar è un nome di fantasia però il
suo business è reale, e orribile: è un broker di organi umani. L’ha incontrato
un giornalista della Bbc a Beirut, dove ha svelato i retroscena del mercato
illegale di reni, occhi e altre parti del corpo venduti per fame dai profughi
siriani e palestinesi in Libano.
GUERRA IN SIRIA - 26 APRILE 2017 13:44 di
Mirko Bellis
Abu lavorava come buttafuori in una
discoteca a Beirut quando incontrò un’organizzazione dedita al contrabbando di
organi umani. “So che faccio qualcosa di illegale, ma sto aiutando le persone,
è così che lo vedo", ha confessato ad un giornalista della Bbc che l’ha
incontrato nella capitale libanese. Abu è un broker, un intermediario tra i
contrabbandieri di organi umani e i tantissimi disperati scappati dalla guerra
in Siria. Da quando è iniziata la guerra civile sono migliaia i profughi
siriani e palestinesi che hanno trovato riparo in Libano. E con il loro arrivo,
per Abu, sono cresciute anche le possibilità di guadagno. Con una grande dosi
di cinismo sottolinea che molte di queste persone sarebbe morte se fossero
rimaste in Siria; vendere un organo – continua – non è nulla rispetto agli
orrori che hanno già vissuto nel loro Paese. “Sfrutto le persone – ammette –
però anche loro ci guadagnano”
Sul retro di una piccola caffetteria alla periferia sud di Beirut, dietro una porta arrugginita, c’è il suo “ufficio”. Da qui, Abu, ha organizzato negli ultimi tre anni la vendita degli organi di circa trenta rifugiati. L’intervista che ha concesso alla Bbc è un concentrato di orrore e spregiudicatezza. "Di solito l’organizzazione chiede reni, ma posso ancora trovare altri organi”, dice. “Una volta mi hanno chiesto un occhio e sono riuscito a trovare un cliente disposto a venderlo”. "Ho fatto una foto dell'occhio – racconta descrivendo crudelmente la sua attività – l’ho inviata con Whatsapp per avere conferma, poi ho consegnato il cliente".
I “clienti”, come li chiama Abu, non mancano. In Libano da quando è iniziata la guerra nel Paese vicino, sono oltre un milione i profughi siriani registrati dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Alla cifra ufficiale vanno aggiunti anche i migliaia di palestinesi arrivati dalla Siria dopo il 2015 Per loro non esiste nemmeno la possibilità di essere registrati come rifugiati. Il governo libanese, infatti, ha chiesto all'Onu di smettere di registrare nuovi arrivi e così i palestinesi sono diventati “invisibili” anche per le agenzie umanitarie. La maggior parte vive nella completa povertà. Le autorità libanesi infatti non concedono loro la residenza e nemmeno un permesso di lavoro. Costretti a vivere in campi sovraffollati, con pochi aiuti, diventano preda facile degli appetiti criminali di persone come Abu Jaafar. Il trafficante ammette che proprio la comunità palestinese è quella più vulnerabile: “Che altro possono fare, sono disperati e l’unico mezzo che hanno per sopravvivere è vendere i loro organi”. Una vita fatta di lavori occasionali e degradanti: lustrascarpe, venditori ambulanti agli angoli delle strade o agli incroci e, in alcuni casi, anche la prostituzione. La vendita di un organo appare quindi come un facile mezzo per guadagnare un po’ di soldi in fretta.
Il disperato, una volta selezionato da Abu, viene bendato e condotto nel giorno prefissato dall'organizzazione per l’espianto in un luogo segreto. A volte i medici operano in case affittate, trasformate per l’occasione in improvvisate cliniche, dove i donatori subiscono un esame del sangue prima dell'intervento. “Una volta che l'operazione è stata fatta li riporto dove li ho presi", racconta il trafficante. "Mi prendo cura di loro per quasi una settimana fino a quando non rimuovono i punti. Da quel momento – continua spietato – non mi importa più niente di cosa gli succede”.
Uno dei suoi ultimi clienti è un ragazzo di 17 anni, costretto ad abbandonare la Siria dopo che suo padre e i suoi fratelli sono stati uccisi. Vive in Libano, da più di tre anni assieme alla madre e cinque sorelle. Senza lavoro e oppresso dai debiti, questo giovane profugo ha deciso di vendere il suo rene per 8000 dollari (7.340 €) alla rete di Abu Jaafar. Due giorni dopo l’operazione – scrive il giornalista della Bbc che l’ha incontrato – giace dolorante sopra un vecchio divano. Il suo volto è sudato e il sangue ancora visibile sulle bende che coprono l’espianto dell’organo.
Abu, nonostante sia consapevole che la sua attività sia illegale, si considera quasi un benefattore per quei poveri costretti a vendersi un organo per sopravvivere. “E’ così che la vedo, il cliente userà i soldi per una vita migliore, per sé stesso e per la sua famiglia. Potrà comprarsi un’auto e lavorare come tassista o addirittura viaggiare in un altro Paese”. Il mercato illegale degli organi è molto florido in tutto il Medio Oriente. La mancanza di donatori dovuta a resistenze religiose e culturali ha provocato un autentico boom degli espianti clandestini. Abu Jaafar sostiene che ci siano almeno altri sette intermediari come lui in tutto il Libano. "Il business sta crescendo – ammette – soprattutto con l’arrivo dei rifugiati”. Il contrabbando di organi umani, un altro degli effetti perversi della guerra civile in Siria.
(Continua su: http://www.fanpage.it/abu-parla-il-trafficante-di-organi-umani-ho-venduto-occhi-e-reni-di-30-rifugiati-siriani/ - http://www.fanpage.it/)
Sul retro di una piccola caffetteria alla periferia sud di Beirut, dietro una porta arrugginita, c’è il suo “ufficio”. Da qui, Abu, ha organizzato negli ultimi tre anni la vendita degli organi di circa trenta rifugiati. L’intervista che ha concesso alla Bbc è un concentrato di orrore e spregiudicatezza. "Di solito l’organizzazione chiede reni, ma posso ancora trovare altri organi”, dice. “Una volta mi hanno chiesto un occhio e sono riuscito a trovare un cliente disposto a venderlo”. "Ho fatto una foto dell'occhio – racconta descrivendo crudelmente la sua attività – l’ho inviata con Whatsapp per avere conferma, poi ho consegnato il cliente".
I “clienti”, come li chiama Abu, non mancano. In Libano da quando è iniziata la guerra nel Paese vicino, sono oltre un milione i profughi siriani registrati dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Alla cifra ufficiale vanno aggiunti anche i migliaia di palestinesi arrivati dalla Siria dopo il 2015 Per loro non esiste nemmeno la possibilità di essere registrati come rifugiati. Il governo libanese, infatti, ha chiesto all'Onu di smettere di registrare nuovi arrivi e così i palestinesi sono diventati “invisibili” anche per le agenzie umanitarie. La maggior parte vive nella completa povertà. Le autorità libanesi infatti non concedono loro la residenza e nemmeno un permesso di lavoro. Costretti a vivere in campi sovraffollati, con pochi aiuti, diventano preda facile degli appetiti criminali di persone come Abu Jaafar. Il trafficante ammette che proprio la comunità palestinese è quella più vulnerabile: “Che altro possono fare, sono disperati e l’unico mezzo che hanno per sopravvivere è vendere i loro organi”. Una vita fatta di lavori occasionali e degradanti: lustrascarpe, venditori ambulanti agli angoli delle strade o agli incroci e, in alcuni casi, anche la prostituzione. La vendita di un organo appare quindi come un facile mezzo per guadagnare un po’ di soldi in fretta.
Il disperato, una volta selezionato da Abu, viene bendato e condotto nel giorno prefissato dall'organizzazione per l’espianto in un luogo segreto. A volte i medici operano in case affittate, trasformate per l’occasione in improvvisate cliniche, dove i donatori subiscono un esame del sangue prima dell'intervento. “Una volta che l'operazione è stata fatta li riporto dove li ho presi", racconta il trafficante. "Mi prendo cura di loro per quasi una settimana fino a quando non rimuovono i punti. Da quel momento – continua spietato – non mi importa più niente di cosa gli succede”.
Uno dei suoi ultimi clienti è un ragazzo di 17 anni, costretto ad abbandonare la Siria dopo che suo padre e i suoi fratelli sono stati uccisi. Vive in Libano, da più di tre anni assieme alla madre e cinque sorelle. Senza lavoro e oppresso dai debiti, questo giovane profugo ha deciso di vendere il suo rene per 8000 dollari (7.340 €) alla rete di Abu Jaafar. Due giorni dopo l’operazione – scrive il giornalista della Bbc che l’ha incontrato – giace dolorante sopra un vecchio divano. Il suo volto è sudato e il sangue ancora visibile sulle bende che coprono l’espianto dell’organo.
Abu, nonostante sia consapevole che la sua attività sia illegale, si considera quasi un benefattore per quei poveri costretti a vendersi un organo per sopravvivere. “E’ così che la vedo, il cliente userà i soldi per una vita migliore, per sé stesso e per la sua famiglia. Potrà comprarsi un’auto e lavorare come tassista o addirittura viaggiare in un altro Paese”. Il mercato illegale degli organi è molto florido in tutto il Medio Oriente. La mancanza di donatori dovuta a resistenze religiose e culturali ha provocato un autentico boom degli espianti clandestini. Abu Jaafar sostiene che ci siano almeno altri sette intermediari come lui in tutto il Libano. "Il business sta crescendo – ammette – soprattutto con l’arrivo dei rifugiati”. Il contrabbando di organi umani, un altro degli effetti perversi della guerra civile in Siria.
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17a) Myanmar, colpi di mortaio
contro il gruppo musulmano dei Rohingya.
Giovedì l’Arsa, un gruppo paramilitare che si propone di fare gli interessi dei Rohingya, ha attaccato le guardie di confine e la polizia. La reazione del governo presieduto dal Nobel per la pace Aung San Suu Kyi ha travolto anche i civili.
26 AGOSTO 2017 19:13 di Redazione http://www.fanpage.it/
Civili del gruppo Rohingya in fuga sulla frontiera del Myanmar, il paese indocinese che giovedì ha visto un'escalation degli scontri dopo le azioni di guerriglia rivendicate dall'Arsa (Arakan Rohingya Salvation Army). Colpi di mortaio e di mitragliatrici contro civili che da venerdì sono bloccati sulla frontiera di Ghunhum, fermi su quel valico per i combattimenti scatenatisi nello stato di Rakhine. I Rohingya rappresentano una minoranza musulmana che conta circa un milione di persone su una popolazione complessiva che supera i 50 milioni a maggioranza buddista.
Rappresentanti dei Rohingya riportano notizie di case bruciate e uccisioni da parte dei militari del Myanmar, paese guidato dalla Nobel per la pace Aung San Sun Kyi, ma determinato ad una rappresaglia durissima contro chi ha mosso battaglia giovedì scorso. In queste ore migliaia di Rohinga stanno attraversando il confine verso il Bangladesh, paese a maggioranza islamica che per ora ne ha accettati circa 100.000.
L'Arsa ha attaccato il 24 agosto
postazioni di polizia e guardie di confine, motivando la guerriglia come atto
di difesa dei Rohingya in un conflitto che da ottobre dell'anno scorso si è
fatto sempre più cruento. La battaglia ha lasciato sul suolo 12 agenti e 77
guerriglieri e dato il via a una reazione che il Dipartimento di stato
americano aveva temuto e provato a scongiurare. La portavoce Heather
Nauert da Washington aveva chiesto alle forze governative del paese
indocinese di individuare gli autori dell'attacco e procedere nel rispetto
della legge. Aung San Suu Kyi, il presidente del Myanmar, aveva
commentato l'attacco dell'Arsa come "un calcolato tentativo di
vanificare gli sforzi di quanti lavorano alla costruzione della pace e
dell'armonia nello stato di Rakhine" tra la comunità musulmana e quella
buddista. Un tentativo che, data la reazione governativa, può dirsi
probabilmente raggiunto.
(Continua su: https://www.fanpage.it/myanmar-colpi-di-mortaio-contro-il-gruppo-musulmano-dei-rohingya/ - http://www.fanpage.it/)
17b) Il Myanmar e la fuga dei Rohingya.
Aung San Suu Kyi a sorpresa diserta l'Assemblea generale ONU
Mercoledì, 13 Settembre 2017 RaiNews24
L'attivista pakistana e musulmana, Malala
Yousafzai aveva aspramente criticato la 'collega' Nobel, la birmana Aung San
Suu Kyi, che di fatto guida il Paese, per ignorare la 'pulizia etnica' in atto
contro la minoranza musulmana nei Rohingya, che ha costretto decine di migliaia
di persone a fuggire in Bangladesh nelle ultime settimane.
Il leader de facto del Myanmar Aung San
Suu Kyi non sarà presente all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in
programma la prossima settimana. Lo ha annunciato il portavoce del governo Zaw
Htay, senza fornire ulteriori dettagli. Il premio Nobel per la Pace, che lo
scorso nel corso del suo primo discorso ufficiale alla tribuna dell'Onu aveva
affrontato la delicata questione legata alla condizione della minoranza
musulmana dei Rohingya, nell'ultimo mese è stata aspramente criticata dalla
comunità internazionale per la gestione della crisi nello stato di
Rakhine. Secondo stime delle Nazioni Unite, circa 370.000 musulmani
Rohingya hanno dovuto lasciare i propri villaggi e tornare in Bangladesh per la
violenta repressione dei militari birmani, iniziata a fine agosto e vivono in
grande precarietà. Una situazione che l'Alto commissariato dell'Onu per i
diritti umani Zeid Raad al-Hussein, ha denunciato come "pulizia etnica da
manuale".
Aung San Suu kyi: "E' solo disinformazione"
Aung San Suu Kyi, in una telefonata con il
Presidente turco Erdogan nei giorni scorsi aveva denunciato la
"disinformazione" sulla crisi dei Rohingya. La 'Lady', come e'
conosciuta dai birmani, aveva parlato di "pesante iceberg di disinformazione",
che deforma il racconto di quel che sta accadendo. "Questo tipo di false
informazioni e' solo la parte piu' visibile di un enorme iceberg di
disinformazione", ha detto la San Suu Kyi.
La minoranza perseguitata
I Rohingya sono una minoranza di religione
musulmana che vive nello Stato di Rakhine la cui repressione sta sollevando le
critiche internazionali e gli appelli dei premi Nobel, 'colleghi' di Aung San
Suu Kyi, il cui silenzio ha attirato molte perplessita'. Alcuni attivisti per i
diritti umani indonesiani, il piu' popoloso Paese musulmano al mondo, hanno
addirittura invitato il comitato per i Nobel a ritirare il premio alla leader
birmana. Parlando per la prima volta della crisi con un comunicato
diffuso dal suo ufficio, lo scorso 25 agosto, Aung San Suu Kyi aveva detto che
le 'fake news' erano messe in giro ad arte per "creare moltissimi problemi
tra le diverse comunita'" e per promuovere "l'interesse dei
terroristi".
L'atto di accusa di Malala
La voce più alta che si è levata contro la
leader birmana è quella di un altro Nobel per la Pace. L'attivista pakistana e
musulmana, Malala Yousafzai aveva infatti aspramente criticato la
'collega' per ignorare la 'pulizia etnica' in atto contro la minoranza
musulmana nei Rohingya, che ha costretto 125.000 persone a fuggire in
Bangladesh negli ultimi 10 giorni.
"Ogni volta che leggo le notizie il
mio cuore si spezza per le sofferenze del musulmani Rohingya in Myanmar",
ha denunciato Malala, sopravvissuta miracolosamente ad un tentativo di
assassinio da parte dei talebani locali in Pakistan quando a soli 15 anni nel
2012 lottava per dell'educazione femminile. "Nel corso degli ultimi anni
ho ripetutamente condannato questa trattamento tragico e vergognoso. Sto ancora
aspettando che la mia collega premio Nobel Aung San Suu Kyi faccia lo
stesso", ha denunciato Malala, che conquisto' il Nobel per la pace nel
2014. Suu Kyi, Nobel per la Pace nel 1991, che ha passato oltre 20 anni isolata
nella sua casa dalla giunta militare, e' ormai dal 2016 ministro degli Esteri e
Consigliere di Stato (carica creata apposta per lei) che la pone di fatto,
sempre con il placet dei generali, alla guida dello Stato. Ma Suu Kyi,
buddista, non vuole inimicarsi il sostegno della maggioranza della popolazione
birmana che odia i musulmani.
(Continua su:
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Il-Myanmar-e-la-fuga-dei-Rohingya-la-leader-birmana-Aung-San-Suu-Kyi-a-sorpresa-diserta-lssemblea-generale-ONU-99fc35e4-a9dd-4b47-a967-804a4461dc91.html
riportato da
https://www.intopic.it/notizia/12032606/?r=WAGJBxroaZBEQ&utm_source=alert&utm_medium=email&utm_campaign=alpha).
17c) Già nel febbraio 2017: Il papa:
“Pregare per i Rohingya, fratelli musulmani perseguitati”
ROMA – Papa Francesco ha invitato oggi a
pregare per i Rohingya, “cacciati via dal Myanmar, che vanno da una parte
all’altra perché nessuno li vuole. È gente buona, pacifica: sono buoni, sono
fratelli e sorelle! È da anni che soffrono: sono stati torturati, uccisi,
semplicemente per portare avanti la loro tradizione, la loro fede musulmana”. I
Rohingya sono una minoranza musulmana, circa un milione 100 mila persone che
vivono nello Stato Rakhine nel nord del Myanmar (Birmania), Paese a maggioranza
buddista. Nonostante dallo scorso anno il Paese sia governato dal partito della
leader birmana e Premio Nobel della Pace Aung San Suu Kyi, queste popolazioni
subiscono da anni la repressione delle forze di sicurezza, con gravi violazioni
dei diritti umani che li costringono alla fuga.
Negli ultimi mesi almeno 65 mila persone
sono fuggite verso il Bangladesh, ma nessuno vuole accogliere queste
imbarcazioni piene di disperati. Si parla anche di un’isola dove confinarli. Da
un report pubblicato di recente dall’ufficio dei diritti umani delle Nazioni
Unite circa 220 testimoni hanno raccontato di “uccisioni di bambini, donne e
anziani, stupri e violenze sessuali sistematiche e su larga scala, distruzione
intenzionale di cibo e fonti di sostentamento”, tanto da far temere una sorta
di pulizia etnica. Gli abusi nei confronti dei Rohingya hanno origine da 50
anni di dura dittatura militare (l’esercito controlla ancora il 25% del
parlamento, i tre ministeri della Difesa, Interni, Affari di Confine e il
Consiglio per la Difesa e la Sicurezza nazionale) che ha sempre represso le
minoranze etniche buddiste e musulmane per raggiungere i suoi scopi, tra cui lo
sfruttamento delle ricchezze naturali.
Dopo un picco di violenze nel 2012 circa
100 mila Rohingya già vivevano abbandonati nei campi profughi, senza alcun
diritto all’istruzione, alla salute, alla cittadinanza. L’ulteriore escalation
di repressione nei loro confronti è dovuta all’intensificarsi delle azioni
militari del gruppo armato musulmano Harakah al-Yaqin Hay, che ha rafforzato la
sua presenza nei villaggi Rohingya, facendo proselitismo e azioni di
guerriglia. Il conflitto con l’esercito si è quindi inasprito dal 9 ottobre
2016, con scontri che hanno coinvolto miliziani Rohingya, tra cui alcuni
provenienti dall’Arabia Saudita. Ma la rabbia nasce dalle disumane condizioni
di vita in cui sono costrette queste popolazioni: nello Stato Rakhine, dove
vivono 3 milioni di persone, il tasso di povertà tocca il 78%. Non c’è
elettricità, pochissime le infrastrutture e le scuole, non c’è lavoro. (www.agensir.it)
(Continua su: http://www.dire.it/08-02-2017/104748-papa-pregare-rohingya-fratelli-musulmani-perseguitati/).
17d) Sempre del febbraio 2017 è la
notizia: “Pulizia etnica contro minoranza Rohingya in Birmania, Onu: “Oltre
mille morti”
Nuova pesante accusa contro la Birmania
dopo le operazioni dell’esercito contro la minoranza Rohingya. Per l’Onu
sarebbe in atto una vera e propria “pulizia etnica” con oltre mille morti,
villaggi distrutti, stupri e violenze.
ASIA 9 FEBBRAIO 2017 10:32 di
Antonio Palma
Nuovo pesante atto di accusa contro la
Birmania per il caso del popolo dei Rohingya, la minoranza etnica e
religiosa da tempo nel mirino delle autorità locali che l'accusano di
terrorismo. Secondo due alti funzionari delle Nazioni unite che si
occupano della minoranza in fuga dalle violenze, infatti, l'esercito
birmano sarebbe responsabile della morte di oltre mille persone di etnia Rohingya,
tutte uccise durante l'offensiva dei militari lungo il confine , partita
nell'autunno scorso con la giustificazione di voler porre fine alle azioni di
guerriglia dei gruppi locali.
I due funzionari delle Nazioni Unite,
citati da Reuters ma sotto anonimato, ribadiscano quanto già sostenuto da molti
nella comunità internazionale e da diverse ONG additando come "pulizia
etnica" quello che sta avvenendo in Birmania sulla base di denunce di
cittadini del posto. Secondo le stesse fonti, infatti, dall'inizio delle
operazioni militari contro i Rohingya, oltre 70mila persone sarebbero state
costrette a fuggire dai loro villaggi, nel nord dello stato occidentale di
Rakhine, in quella che sembra un vera e propria deportazione a scopo di
segregazione.
Secondo i funzionari Onu citati
dall'agenzia di stampa, le cifre ufficiali delle vittime dell'operazione
militare fatte dal governo sono nettamente sottostimate. Il portavoce
presidenziale birmano Zaw Htay, interpellato dalla Reuters, ha confermato però che
sulla base dei rapporti dei comandanti militari che operano nella zona, le
vittime sarebbero non più di 100, uccise in un'operazione di contrasto alla
guerriglia che attaccava posti di polizia sul confine.
Come mostrano diversi video diffusi
online, le violenze contro il popolo Rohingya, già definito dall'Onu tra le
popolazioni più perseguitate al mondo, ormai nell'area sono all'ordine del
giorno. Le Nazioni Unite hanno identificato le operazioni militari come
una "repressione generalizzata e sistematica" che si è trasformata in
una "pulizia etnica" e "molto probabilmente" in crimini
contro l'umanità. In un rapporto dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti
umani si racconta di distruzione di villaggi con il fuoco, spostamento coatto
della popolazione, uccisioni di civili compresi bambini, sparizioni e stupri da
parte dell'esercito nell'impotenza del debole governo birmano.
(Continua su: https://www.fanpage.it/pulizia-etnica-contro-minoranza-rohingya-in-birmania-onu-oltre-mille-morti/ - http://www.fanpage.it/).
17e) Ancora nel febbraio 2017: “Accusa a
Birmania, 'mille Rohingya uccisi'”
8 febbraio 2017 -fonte ANSA.it
Fonti Onu, 'vittime offensiva militare'.
'Fuggiti in 70.000'
Redazione ANSA – ROMA - 09 febbraio 2017
17:37 NEWS
Nuovo atto d'accusa alla Birmania
'democratica': oltre 1.000 persone dell'etnia musulmana dei Rohingya sono stati
uccisi da quando, nell'autunno scorso, è iniziata l'offensiva dei militari
contro di loro, che la comunità internazionale addita come 'pulizia etnica'
sulla base di denunce di ONG e dell'Onu. E proprio di due funzionari dell' Onu
di alto livello - fonti che hanno chiesto l'anonimato - viene l'accusa odierna,
riportata dal sito dell'agenzia Reuters.
Secondo le fonti, dall'inizio delle
operazioni militari contro i Rohingya, oltre 70.000 persone sono state
costrette a fuggire dai loro villaggi, nel nord dello stato occidentale di
Rakhine.
Le due fonti diverse dicono anche che le
cifre ufficiali fatte dal governo sono nettamente 'sottostimate'. Il portavoce
presidenziale birmano Zaw Htay, interpellato dalla Reuters, ha dichiarato che
sulla base dei rapporti dei comandanti militari che opera nella zona, le
vittime sarebbero non più di 100, uccise in un'operazione di contrasto alla
guerriglia.
(Continua su: http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2017/02/08/accusa-a-birmania-mille-rohingya-uccisi_d620baeb-f861-4749-8bfb-cbe01c6bc7aa.html).
Purtroppo un altro genocidio più o meno
nascosto si sta consumando in Birmania contro il popolo già stremato dei
Rohingya: fosse comuni di tempo fa, morti sparati e villaggi distrutti, e
questo dura già da un pezzo. Tempo fa i Rohingya che arrivavano con barconi
presso le coste della Birmania erano rifocillati e poi rispediti in mare incontro
alla loro sventura. Quello che più rattrista ora è che Aung San ha disertato
l'Assemblea dell'Onu in cui si discuteva dei Rohingya. Chissà perché questo
abbandono di un popolo che è sistematicamente distrutto da chi ha subito
angherie per la libertà? Sembra che per i Rohingya l'unica possibilità sia
sparire, non si sa dove, per evitare un’altra shoah. Aiutiamo anche questa
ennesima popolazione di disperati, morti, uccisi, fatti morire di fame e di
sete.
18) Scozia, scoperta fosse comune in
orfanotrofio gestito da suore: ci sono resti di 400 bambini
È quanto emerge da una indagine choc del
programma “File on Four” di Bbc Radio 4 e del Sunday Post. L’ex primo ministro
Jack McConnell: “Dopo anni di silenzio, finalmente sapremo la verità su cosa è
successo in questo luogo”.
EUROPA 10 SETTEMBRE 2017 13:59 di
Redazione Locale (Ida Artiaco)
Almeno quattrocento corpi di bambini e
neonati sono stati scoperti in una fossa comune anonima nei pressi
dell'ex orfanotrofio Smyllum Park, in Scozia, gestito da suore
cattoliche. È quanto emerge da una indagine choc del programma "File
on Four" di Bbc Radio 4 e del Sunday Post. I piccoli dovrebbero essere
morti tutti tra il 1864 e 1981, anno della sua chiusura definitiva. Le
sorelle della carità di Vincent de Paul, che gestivano la struttura che ha
accolto nel periodo considerato oltre diecimila persone, avevano già confessato
che circa 158 minori erano stati seppelliti in una parte del vicino cimitero,
ma da tempo l'opinione pubblica avanzava dubbi sul fatto che questa
cifra potesse essere molto più grande.
Le tombe delle suore e degli altri membri del personale che ha lavorato nell'orfanotrofio sono contrassegnate da lapidi ben visibili, ma nulla indicava la sepoltura dei piccoli ospiti, dei quali per altro non esisteva neppure alcuna registrazione. Inoltre, alcuni residenti avevano più volte accusato le sorelle di maltrattare i bambini che avevano in cura. Accuse, però, che sono sempre state respinte dall'ordine religioso per "mancanza di prove" a sostegno di questa tesi. L'ex primo ministro, Jack McConnell, che si era molto battuto durante il suo mandato a favore delle vittime dei maltrattamenti domestici, a nome del governo scozzese, ha assicurato che verrà fatto il possibile per conoscere la verità: "È straziante scoprire che molti bambini sono stati sepolti in queste tombe anonime. Dopo tanti anni di silenzio, ora dobbiamo conoscere la verità di quanto è successo qui".
Le tombe delle suore e degli altri membri del personale che ha lavorato nell'orfanotrofio sono contrassegnate da lapidi ben visibili, ma nulla indicava la sepoltura dei piccoli ospiti, dei quali per altro non esisteva neppure alcuna registrazione. Inoltre, alcuni residenti avevano più volte accusato le sorelle di maltrattare i bambini che avevano in cura. Accuse, però, che sono sempre state respinte dall'ordine religioso per "mancanza di prove" a sostegno di questa tesi. L'ex primo ministro, Jack McConnell, che si era molto battuto durante il suo mandato a favore delle vittime dei maltrattamenti domestici, a nome del governo scozzese, ha assicurato che verrà fatto il possibile per conoscere la verità: "È straziante scoprire che molti bambini sono stati sepolti in queste tombe anonime. Dopo tanti anni di silenzio, ora dobbiamo conoscere la verità di quanto è successo qui".
La vicenda ricorda molto da vicino
quella emersa nel marzo scorso in Irlanda, dove in un ex orfanotrofio
cattolico a Tuam è stata confermata l'esistenza di una fossa comune con i resti
di circa 800 bambini. La prima persona a denunciare la vicenda era stata, negli
anni scorsi, uno storico locale, Catherine Corless, e poi con il “mea culpa”
della chiesa cattolica irlandese si è andati avanti con le indagini. Dal lavoro
svolto negli ultimi anni dalla commissione di inchiesta è emerso che chi viveva
in queste "case", che accoglievano ragazze madri e i loro figli,
ha sofferto malnutrizione, malattie e miseria, con altissimi livelli di
mortalità.
(Continua su: https://www.fanpage.it/scozia-scoperta-fosse-comune-in-orfanotrofio-gestito-da-suore-ci-sono-resti-di-400-bambini/ -
http://www.fanpage.it/).
È tristissimo scoprire la verità su
generazioni di bambini morti in un collegio diretto da suore. Perché nascondere
in fosse comuni morti per malattia o infanticidi? Tanto il Padreterno sa
distinguere molto bene e castigare chi di dovere. Speriamo che ora si provveda
a una dignitoso sepoltura, richiesta cui mi associo con tutto il cuore. Onore e
dignità a quei morti così nascosti dall'infamia.
È terribile quanto si sta commentando.
Peggio dei nazisti. Si parla di fosse comuni, tra cui una di bambini in Scozia,
scoperta proprio all'interno di una comunità di suore preposte alla cura di
piccoli orfani!
I fatti riportati in questa rassegna
stampa sono tremendi e indegni di esseri umani.
Per quanto riguarda gli orfanotrofi, retti
da istituzioni che si professano cattoliche, assistiamo sgomenti alle
circostanze riportate, denotanti scetticismo e vera e propria criminalità,
stando anche alla testimonianza dei vicini che hanno fatto invano segnalazioni
in merito.
E i superiori di queste istituzioni che
ruolo hanno giocato? Perché tanta segretezza nel seppellire bimbi anche morti
per malattia, fame e maltrattamenti se poi non erano tali? Perché tanto mistero
su fatti che dopo tanti secoli irrompono con una crudeltà umana da far paura?
Non si possono lasciare correre eventuali
delitti di questa natura e, se il numero delle piccole vittime venisse
confermato, la circostanza si proverebbe senza dubbio criminosa. Che almeno
adesso si provveda a dare una degna sepoltura a quelle vittime innocenti.
Terminiamo questa rassegna costituita da
una lunga lista di fatti di terrore, disastri naturali e popolazioni in fuga da
ogni dove con una nota positiva, un articolo del 30 maggio 2017 di Manuela
Paiuzzi, che ci fa ben sperare.
19) La Madre degli
Orfani: donna indiana cresce quasi 1500 bambini
Sindhutai Sapkal ha dedicato l'intera
esistenza ad aiutare bambini in difficoltà: oggi a sessantotto anni vanta il
record di aver cresciuto quasi 1500 giovani vite
Manuela Paiuzzi - 30/05/2017
È indiana, ha 68 anni ed è conosciuta come
la Madre degli Orfani. Chi potrebbe mai donare l’intera propria esistenza per
salvare giovani in difficoltà? Sindhutai Sapkal, questo è il suo nome. Ha
cresciuto nel corso della propria vita quasi 1500 bambini senza guida, il cui
destino non sembrava essere dei migliori. Sindhutai gestisce ben 4 orfanotrofi
e per il suo impegno è stata premiata circa 750 volte. Ha un profilo Facebook (https://www.facebook.com/Sindhutai-Sapkal-202282803131794/)
ed in rete circolano molte notizie su di lei. Tutto ciò per cui vive è il suo
impegno importante che richiede amore verso il prossimo e grande costanza,
tuttavia non è sola in questo: ad aiutarla la figlia biologica Mamta e i tre
figli adottivi più grandi.
Gli
orfanotrofi di Sindhutai
Come si sa, purtroppo per molti bambini e
ragazzi indiani la vita non è stata dolce e gentile, anzi: ritrovarsi da soli,
in tenera età, non è per niente facile. Va detto, però, che se qualcuno in
India è disposto a prendersi cura di loro, compie un gesto nobile ma si scontra
con quello che purtroppo è la realtà statale. Ad una certa età, negli
orfanotrofi gestiti dallo stato, i ragazzi devono obbligatoriamente abbandonare
le strutture o seguire le volontà di famiglieconsiderate idonee all’adozione.
Gli orfanotrofi di Sindhutai, invece, funzionano diversamente: la donna si
occupa dei ragazzi finché ne hanno bisogno, donandogli tutto l’amore
necessario.
(Continua su:
http://www.thesocialpost.it/2017/05/30/madre-orfani-cresce-1500-bambini/)
Un raggio di luce, dunque, fra le tante
notizie presentate per sensibilizzare l’opinione pubblica circa la difficile
vita dei più vulnerabili.
Non ci resta che aspettare che Qualcuno di
Superiore abbia compassione di noi, sebbene in tanti non Lo vogliano, Lo
disprezzino e Lo odino. Lui però aspetta e non ci tradisce, anche se eventi
lontani da Lui ci colpiscono, distruggendo quel pianeta che Lui non aveva
avviato per questo scopo.
Atti di coraggio individuali e spassionati
ci sono in tutti il mondo. Immagino la gioia di coloro che estraggono vivo un
bimbo dalle macerie o il visetto di quel bambino statunitense di tre anni che
trascina il papà diabetico fuori dalla casa in fiamme.
Ci sono dei segni di risveglio non
indifferenti della coscienza, atti di bontà gratuita che lasciano ben sperare a
dispetto del quadro generale qui presentato e delle disgrazie che
si abbattono quotidianamente su di noi assieme ai giochi a quiz e ai soldi
virtuali e non che si lasciano intravvedere ai telespettatori.
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